“DigitalMente”, rubrica settimanale che ogni venerdì prova a fornire spunti e appunti su digitale e dintorni, per riflettere a tutto campo su innovazione e digitale. Oggi abbiamo scelto di parlare di “anti-digital”.
Il Gruppo Monrif, questa settimana, ha pubblicato i dati del bilancio 2021. Da questi abbiamo isolato i soli ricavi editoriali, escludendo i ricavi derivanti dalle altre attività del gruppo, prevalentemente alberghiere, che fa riferimento all’attuale Presidente della FIEG. Dei soli ricavi editoriali abbiamo ricostruito l’andamento dal 2018 al 2021.
Complessivamente i ricavi editoriali di Monrif a fine 2021 sono sostanzialmente stabili rispetto al 2020. Un primo indicatore visto che invece gli altri gruppi editoriali che hanno diffuso i dati del 2021 sono tutti in crescita rispetto all’anno precedente. Cosa che, come faceva notare “Charlie”, la newsletter de Il Post dedicata al mondo dell’informazione, non è poi così una buon a notizia come le comunicazioni di bilancio da parte dei gruppi editoriali italiani che celebrano con soddisfazione i buoni risultati del 2021 vorrebbero far credere, visto che il 2020 era stato una catastrofe, soprattutto nei mesi tra marzo e settembre, per la contrazione dei ricavi pubblicitari e non solo legata alla prima fase più intensa della pandemia.
Se questa è dunque la situazione del Gruppo Monrif rispetto all’anno scorso, si tratta di un risultato ottenuto grazie alla crescita dei ricavi pubblicitari, e di quelli per la stampa effettuata conto terzi, che nel 2021 ha avuto un forte impulso dall’accordo realizzato con GEDI per la stampa dell’edizione Bologna di Repubblica, mentre al contrario i ricavi diffusionali sono in calo rispetto al 2020.
Rispetto al periodo pre-pandemia, come per RCS, Cairo Communication e Sole24Ore, la chiusura del 2021 di Monrif è fortemente negativa. Il totale dei ricavi editoriali è inferiore di circa 14 milioni [- 9.5%] rispetto al 2019 e di oltre 20 milioni [- 13.2%] rispetto al 2018. Un calo legato prevalentemente ai ricavi diffusionali che perdono 17.6 milioni rispetto al 2018 [- 18.2%].
Il gruppo editoriale, che è ancora il primo riferimento informativo, secondo l’Agcom, in Emilia-Romagna e Toscana, chiude il 2021 con 9,6 milioni di euro di ricavi da online/digitale, pari ad un peso del 7.2% sul totale ricavi dell’anno. Di questi 7,2 sono derivanti dalla raccolta pubblicitaria online e 2,1 dai ricavi diffusionali, che a loro volta sono costituiti solamente per un milioni di euro dai ricavi derivanti dalle copie digitali, mentre i restanti 1,1 milioni derivano dall’accordo con Google.
Insomma, la transizione al digitale del gruppo bolognese, avviato tardivamente a fine 2020 con l’arrivo da RCS di Michela Colamussi per il coordinamento delle attività digitali delle testate e dei siti del Gruppo Monrif, è ancora ben lontana dal venire.
Al riguardo, nelle note al bilancio 2021, si spiega che, per agevolare il processo di transizione del settore digital cominciato nello scorso esercizio, ha avuto luogo l’assunzione di Romolo Velati, Chief Technology Officer in Robin. Robin ha il suo focus sull’ideazione e implementazione della strategia di trasformazione digitale del Gruppo Monrif: dall’ideazione di prodotto, allo sviluppo delle tecnologie e dei processi industriali a supporto della digitalizzazione del contenuto e del go to market, a partire dalle testate Quotidiano Nazionale, il Resto del Carlino, La Nazione, il Giorno e il Telegrafo, fino a tutti i siti correlati e gestiti in partnership con altri editori terzi. Stando agli ultimi dati disponibili ha chiuso il 2020 con ricavi per 5,29 milioni.
E vi è stata anche l’assunzione di Tommaso Caimmi nuovo responsabile per le subscription [sfogliatore e paywall] delle testate digitali del gruppo. Parallelamente, il team digitale sta implementando la tecnologia di Piano.io, piattaforma per la gestione del marketing automation in ambito publishing, a supporto dello sviluppo degli utenti registrati e abbonati.
Parrebbe dunque che, finalmente, Monrif si stia attrezzando per affrontare l’ineluttabile transizione al digitale, ma le basi da cui parte segnano un cammino faticosamente in salita. Al riguardo sorprende, ma non stupisce, che nei riferimenti alla transizione digitale non vi siano riferimenti alla gestione dei social, che evidentemente continuano ad essere considerati una repository di link e null’altro, mentre, tra le altre cose, il Financial Times, proprio questa settimana ha lanciato un nuovo prodotto editoriale concepito proprio per i suoi 26 milioni di follower sui social.
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