Il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, verso la fine della scorsa settimana, ha pubblicato gli elenchi delle imprese e delle associazioni editrici di quotidiani e periodici a cui sono stati erogati i contributi diretti alla stampa per l’anno 2020.
Come è emerso con chiarezza dal nostro dossier sul tema, pubblicato a fine 2021, i contributi indiretti sono la porzione più ampia delle sovvenzioni statali, mentre nel 2020 quelli diretti pesano circa un quarto [24.60%] del totale. Cionondimeno i dati del Dipartimento offrono diversi spunti di riflessione.
Nel 2020 i contributi alla stampa sono stati pari a 78,4 milioni di euro. Di questi la porzione più ampia [65,3 milioni] è stata destinata ai contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici editi e diffusi in Italia. A questi vanno aggiunti poco meno di 61 milioni di euro di compensazioni liquidate a Poste Italiane per tariffe postali agevolate per riduzioni tariffarie applicate per la spedizione dei prodotti editoriali effettuate da imprese editrici di quotidiani e periodici iscritte al ROC [Registro unico degli Operatori di Comunicazione], contro i 41,3 del 2019.
Come mostra l’infografica sottostante, negli ultimi dieci anni, dopo un calo all’inizio del decennio, e una stabilizzazione al ribasso tra il 2013 e il 2015, dal 2016 in poi i contributi diretti hanno ripreso a crescere in maniera significativa.
Se questa è la situazione generale, è entrando nel dettaglio che emergono elementi d’interesse. Infatti, su un totale di 173 testate che hanno ricevuto contributi diretti nel 2020, i primi undici quotidiani per contributi diretti ricevuti [6.35% del totale] assorbono ben il 53.4% del totale delle risorse.
Se questo non bastasse a comprendere il livello di concentrazione dei sostegni, si pensi che le prime tre testate per contributi ricevuti pesano più di un quinto del totale [21.7%]. E che, sempre solamente degli undici quotidiani con più contributi, considerando alcune di queste, come vedremo, “border line” in quanto a diritto effettivo a ricevere tali contributi, ricevono il 20.8% del totale dei contributi diretti erogati nel 2020. Concentrazione che sarebbe ancora maggiore se avessimo considerato anche i periodici, con “Famiglia Cristiana” che nel 2020 ha ricevuto sei milioni di euro.
Sempre in tema di concentrazione dei contributi, il quotidiano che riceve l’importo maggiore, grazie ai contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche, è “Dolomiten” con poco meno di 6,2 milioni di euro. Il 54% del totale dei contributi deputati a ricevere sovvenzioni statali in quanto espressione di minoranze linguistiche, e il 7,9% del totale dei contributi diretti.
Una situazione che è agli antipodi del principio di pluralismo che tali contributi dovrebbero tutelare, della quale l’infografica sotto riportata fornisce il dettaglio.
Se non ci sono dubbi sulla titolarità di “Dolomiten” a ricevere tali contributi, non si può non notare come sia stata la prima testata per valore di contributi ricevuti anche nel 2018 e 2019 mentre negli anni precedenti era abbondantemente al di sotto dei due milioni di euro di contributi diretti ricevuti. Ci piacerebbe capire perchè l’altro quotidiano espressione di minoranze linguistiche, Neue Südtiroler Tageszeitung, abbia ricevuto € 1.066.035 e, soprattutto, le motivazioni di un balzo così significativo, a partire appunto dal 2018, per il giornale della provincia di Bolzano.
Inoltre, stando agli ultimi dati ADS disponibili, il 79.1% delle vendite di copie individuali di “Dolomiten” è in abbonamento. Se a questo aggiungiamo che vendendo in una sola provincia la dispersione della distribuzione, il suo costo, e il costo delle rese dovrebbero essere decisamente limitati. E infatti su ricavi dichiarati a bilancio per 1,8 milioni di euro nel 2020 ha un utile di oltre 797mila euro. Pari al 44.2% di redditività.
Insomma, non mettiamo in dubbio la titolarità a ricevere i contributi di cui gode in virtù di essere espressione di minoranze linguistiche, ma non ci pare che sia un’impresa neppure lontanamente in difficoltà. E più di sei milioni di euro su ricavi, come abbiamo visto, per 1,8 milioni, sono davvero una cifra spropositata. Denari pubblici che non vi è dubbio che meriterebbero di essere allocati in maniera differente.
Ed ancora, “Il Quotidiano del Sud”, la cui proprietà è riconducibile a Finedit Srl, legata in un gioco di scatole cinesi a Edizioni Proposta Sud srl. Quotidiano che a dicembre 2019 dichiarava vendite per poco meno di 10mila copie, e da gennaio 2020 è “uscito” dal sistema ADS, dopo che Accertamenti Diffusione Stampa aveva avviato un approfondimento per valutare modalità e contezza dei dati di vendita del quotidiano in questione. Approfondimento del quale non si hanno notizie. E il suo Direttore, Roberto Napoletano, attualmente è a processo per le “copie gonfiate” quando era direttore del Sole24Ore. In tutto questo la testata ha ricevuto nel 2020 ben 3,7 milioni di euro. Dire che restiamo perplessi al riguardo è un eufemismo.
Ben più del “Quotidiano del Sud” riceve “Libero”. Il quotidiano, passato di recente sotto la direzione di Sallusti, nel 2020 ha ricevuto la bellezza, si fa per dire, di quasi 5,5 milioni di euro. Questo nonostante che, come noto, sia tutto fuorchè una cooperativa di giornalisti ed è di proprietà della famiglia Angelucci, che controlla la finanziaria Tosinvest che ha in portfolio anche altre testate.
Che lo stato finanzi un quotidiano che non solo ottiene contributi sfruttando le pieghe della legge, ma il cui fondatore, Vittorio Feltri, si sottrae alla più basica deontologia professionale, non è certamente un aspetto trascurabile. Come scrive lui stesso, «furto e furbo sono compari inseparabili».
Dopo “Libero” troviamo “ItaliaOggi” con più di 4 milioni di euro ricevuti nel 2020. Nonostante abbia ricevuto tale sostanzioso importo ha chiuso il 2020 con una perdita di 3,5 milioni di euro.
Anche in questo caso si tratta di un altro quotidiano molto border line, diciamo, in quanto ad effettiva titolarità a ricevere contributi diretti visto che di fatto rientra nel portfolio delle testate di Class Editori, società quotata in borsa, che ne ha rilevato la proprietà ad agosto del 1991, e che pare sia nel mirino di Iervolino, che dopo aver ceduto l’Università Telematica Pegaso, punta al polo specializzato nell’editoria economico-finanziaria per un valore compreso tra i 20 e i 25 milioni, dopo aver già acquisito a inizio 2022 Bfc Media, casa editrice specializzata nell’informazione sul personal business sui prodotti finanziari che, tra gli altri, pubblica anche Forbes Italia.
Comunque sia, e quali che saranno gli eventuali sviluppi, appare chiaro quanto la titolarità a ricevere contributi del quotidiano economico-finanziario giallo sia perlomeno dubbia.
Altra testata, alla quale abbiamo dedicato un approfondimento specifico circa un anno fa, è Il Foglio. Quotidiano che attualmente è di proprietà di Valter Mainetti, azionista di riferimento di Sorgente Group Alternative Investment, come dichiara lui stesso sul proprio sito. E del quale anche in precedenza i proprietari erano tutto meno che un partito o una cooperativa di giornalisti, come riepiloga Wikipedia.
Vale la pena di ricordare anche che del giornale in questione non esistono dati ADS sulle vendite, così come non esistono dati ufficiali – Audiweb – sugli accessi al proprio sito web. Nonostante tutto questo nel 2020 il giornale diretto da Cerasa ha incassato quasi € 1,9 milioni nel 2020 e, attraverso una serie di escamotage diversi, la bellezza, si fa per dire, di circa 60 milioni di euro dal 1997 ai giorni nostri.
Insomma, un mucchio di soldi grazie a stratagemmi e poche possibilità di controllo dei dati grazie ai quali riceve contributi diretti statali. Non a caso, l’allora Direttore, Giuliano Ferrara, nel 2006, intervistato da Bernardo Iovene per una puntata di Report dedicata ai finanziamenti, dichiarò candidamente che «Beh un trucco, la legge dava una possibilità e noi l’abbiamo sfruttata, un trucco nel senso che non era un vero partito, avevamo chiesto a due amici Marcello Pera che faceva parte di Centro Destra senatore e Marco Boardi deputato del Centro Sinistra, due persone amiche, due lettori del giornale di firmare per il giornale, abbiamo fatto questa convenzione». Per poi concludere che fosse «Un escamotage legale, perfettamente legale». Nulla pare essere cambiato da allora. Anzi dal 2017 in poi l’importo ricevuto annualmente è praticamente raddoppiato.
Anche al Quotidiano di Sicilia 1,2 milioni di euro nel 2020. Il quotidiano è di proprietà di Ediservice Srl che a sua volta è controllata dalla “Fondazione Etica & Valori Marilù Tregua”, fondazione che riporta il cognome dell’attuale Direttore, Carlo Alberto Tregua, e della Vicedirettrice , e Direttore Commerciale, Raffaella Tregua.
Insomma, anche in questo caso più che un ente senza fini di lucro o una cooperativa giornalistica anche il quotidiano siciliano pare essere “un’affare di famiglia”.
Infine, pure “Il Secolo d’Italia”, anche se non compare nei primi undici, ottiene finanziamenti consistenti e presenta qualche anomalia, diciamo. Dal 21 dicembre 2012 il quotidiano è diventato esclusivamente una testata giornalistica disponibile esclusivamente online, essendone cessata la pubblicazione della versione cartacea. E risulta essere di proprietà della Fondazione Alleanza Nazionale.
Questo non gli impedisce di ricevere poco meno di un milione di euro nel 2020, e un totale di oltre 29 milioni dal 2004 ad oggi, pur essendo palesemente un giornale di partito e dunque avendo cessato il diritto a ricevere contributi in base al decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 13, che prevede espressamente l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Il principio di tutela della libertà di informazione e di pluralismo non si discute. I criteri con i quali si applicano tali principi in base alle normative vigenti invece SI!. A partire dall’introduzione di criteri qualitativi e non solo quantitativi, visto che buona parte della crisi, ormai permanente, dei quotidiani è riconducibile ad evidenti problemi di qualità dell’informazione.
È giunta una volta per tutte l’ora di smettere di foraggiare disefficienza e difesa dello status quo, e di finanziare davvero, basandosi su criteri prevalentemente qualitativi, che abbiamo esemplificato nelle conclusioni del nostro dossier, il pluralismo dell’informazione.
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