Quanto è Pop[ular] la Comunicazione dei Leader Politici su Facebook

Che i politici, complessivamente, siano assolutamente asocial[i] ed usino la comunicazione sui social come un megafono lo abbiamo già documentato, dati alla mano come d’abitudine, tempo addietro. La situazione da allora sostanzialmente è cambiata poco e nulla.

Da qualche tempo osserviamo anche un altra tendenza che dal nostro personalissimo punto di vista ci pare altrettanto deleteria. Infatti, dopo che il leader della Lega aveva inaugurato la stagione, diciamo, dei post con alcuni dei più noti brand, che qualcuno, ironicamente, ha definito la “strategia dello yogurt” per la comunicazione social, ora appare diffusa la propensione da parte di molti leader politici a postare contenuti legati alla vita personale.

Per verificare questa sensazione abbiamo analizzato le conversazioni su Facebook negli ultimi trenta giorni da parte dei sei principali leader politici: Berlusconi, Calenda, Conte, Meloni, Renzi e Salvini.

Ebbene, nell’ultimo mese, ma naturalmente anche in precedenza, emerge con chiarezza, appunto, la tendenza a postare contenuti legati alla propria sfera personale.

Non solo questo avviene con crescente frequenza ma questa tipologia di contenuti è quella che genera il maggior numero di interazioni, il maggior livello di engagement.

È il caso di Salvini che veicola messaggi su colazioni e fidanzate, in due varianti, piazzando questi tre post come quelli che generano il maggior coinvolgimento. Il post che genera maggior engagement è del 12 agosto scorso e raffigura il leader della Lega con la propria compagna, figlia di Verdini. Post che ottiene più di 100mila tra “like” e “love”, oltre mille condivisioni e quasi 22mila commenti. In  buona parte ironici o addirittura negativi.

Anche l’altra leader del centro-destra, Giorgia Meloni, non è da meno. Dei tre post che generano maggior engagement su Facebook negli ultimi trenta giorni, due sono attinenti a fatti personali o comunque che esulano dalla politica. Il primo per livello di coinvolgimento è di auguri alla propria madre per il suo compleanno e ottiene più di 122mila reaction tra “like” e “love”, oltre mille condivisioni e circa 33mila commenti.

Identica la situazione sia per Calenda che per Renzi. Per entrambi infatti due dei tre post che generano maggior engagement sono attinenti alla sfera personale o comunque slegati dalla politica. I valori assoluti delle reaction e di commenti e condivisioni sono di gran lunga inferiori a quelli di Meloni e Salvini ma la sostanza non cambia.

Cambia invece la situazione per Giuseppe Conte [che tra tutti è il leader politico che crea maggior engagement su Facebook] e Silvio Berlusconi che, seppure si concedano qualche parentesi al di fuori del discorso politico restano maggiormente concentrati sulle loro istanze rispetto agli altri leader. Sia per l’uno che per l’altro le digressioni extra politiche sono  minoritarie, e per tutti e due solo un post su tre non è direttamente legato alla linea politica e compare tra quelli che generano maggior coinvolgimento.

Si tratta di “operazioni simpatia”, del tentativo di apparire al pari degli elettori, o potenziali tali, come uno di loro, che lasciano il tempo che trovano.

Partono da un’idea di coinvolgimento che si basa su criteri standardizzati dove i like e le altre reaction hanno lo stesso peso di commenti e condivisioni. Pratica assolutamente errata.

Partono anche dall’idea di qualche “guru”, o sedicente tale naturalmente, che i politici siano come un prodotto e come tale vadano trattati. Ipotesi di lavoro ancor più pericolosa e nociva rispetto alla errata concezione, e misurazione, del coinvolgimento. I prodotti commerciali  sono cose concrete che per vendersi meglio necessitano  di un universo di valori. Invece, la politica ha radici in un universo di valori,  ma per veicolarli deve tradurli in cose concrete.

La figura del guru capace di tirare fuori dal nulla  il candidato di successo è una invenzione comoda a quelli che vogliono  dimostrare che i politici sono tutti uguali e che basta un po’ di buon marketing  per ottenere consenso. Per fortuna della democrazia, e per sfortuna della voglia di onnipotenza del social media strategist/manager di turno,  non è così. I post “pop[ular]” non servono, quasi, a niente.

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