Il Reuters Institute for the Study of Journalism ha reso disponibili i risultati dell’edizione 2021 del “Digital News Report”, il rapporto annuale più atteso dagli adetti ai lavori, e più completo, sullo stato dell’informazione.
Si ricorda che i risultati sono relativi alla popolazione online che fruisce delle notizie almeno una volta al mese. Vengono quindi esclusi coloro che non si informano in assoluto e coloro che non utilizzano la Rete, che per quanto riguarda il nostro Paese sono una quota assolutamente non trascurabile, come sappiamo.
La ricerca è stata condotta da YouGov utilizzando un questionario online alla fine di Gennaio / inizio Febbraio 2021, e dunque si riferiscono alla situazione in cui la pandemia da covid era ancora allarmante nel nostro Paese. Il rapporto di quest’anno è basato su dati provenienti da sei continenti e 46 mercati, Italia inclusa.
Complessivamente poco più di quattro persone su dieci [44%] hanno affermato di fidarsi della maggior parte delle notizie per la maggior parte del tempo. In italia coloro che affermano di fidarsi delle news sono il 40%. In netta ripresa rispetto al 2020 [più 11 punti percentuali] ma pari rispetto al 2019 e due punti percentuali al di sotto del 2018.
A inizio 2021, il nostro Paese si colloca in 26esima posizione su 46 nazioni per livello di fiducia. Nell’Europa del Sud [Portogallo, Croazia, Turchia, Italia, Spagna e Grecia] siamo davanti soltanto a Spagna e Grecia per fiducia riposta nell’informazione, e in generale agli ultimi posti in Europa.
Anche quest’anno ANSA è la fonte d’informazione nella quale gli italiani ripongono maggior fiducia. Un motivo in più, se possiamo dirlo, di essere orgogliosi della nostra collaborazione, in atto in maniera continuativa da inizio 2021. Tra le fonti nelle quali gli italiani invece ripongono minor fiducia troviamo “Il Giornale” e “Libero”.
Nella scheda dedicata all’Italia, realizzata come ogni anno da Alessio Cornia, si conclude che «Dal punto di vista editoriale, la copertura della pandemia di COVID-19 ha evidenziato la carenza di giornalisti scientifici specializzati in Italia, nonché la tendenza a focalizzare la copertura delle notizie su speculazioni e fughe di notizie su possibili modifiche alle restrizioni legate al Coronavirus, piuttosto che sulle decisioni effettive, insieme a una copertura sensazionalistica e spesso contraddittoria di fatti relativi alla pandemia e ai vaccini. Questo, insieme alla diffusione della disinformazione, potrebbe aver contribuito all’insoddisfazione del pubblico e alla mancanza di fiducia nell’informazione»
Per quanto riguarda IL tema sul quale si arrovellano i publisher di tutto il mondo, ovvero la disponibilità, o meno, a pagare per le news online, complessivamente la media di 20 delle 46 nazioni del report, tra le quali l’Italia, si attesta al 17%. Il nostro Paese è al di sotto di tale media, al 13%, in crescita di tre punti percentuali rispetto al 2020. Non esattamente un boom, diciamo, nell’anno in cui è esploso il consumo di notizie online.
Il numero medio di abbonamenti alle news online è di un solo abbonamento. La battaglia è dunque prima di tutto quella di conquistare la fiducia delle persone e poi convincerle ad abbonarsi alla propria testata piuttosto che a quella di un competitor. Ennesima conferma, se necessario, che in mercati che non crescono la crescita si ottiene rubando quota alla concorrenza.
Ulteriore elemento d’interesse emergente dal report è relativo ai podcast, format sul quale molti publisher stanno investendo. Al top l’Irlanda con il 41% delle persone che afferma di aver ascoltato almeno un podcast nell’ultimo mese. Fanalino di coda il Giappone al 25%. La media complessiva è del 31%. Stabile rispetto al 2020. Quindi la penetrazione non cresce.
Media alla quale l’Italia è perfettamente allineata con la medesima percentuale di intervistati [31%] che afferma di aver ascoltato un podcast. Interessante anche notare come la principale motivazione per cui le persone non ascoltano i podcast è la mancanza di tempo. L’audio è time consuming. Un fattore che nell’entusiasmo, anche nei confronti del “social audio”, è stato colpevolmente sottovalutato.
Il rapporto ha anche indagato l’aspetto della sostenibilità economica dell’informazione. A livello globale il 53% delle persone afferma di non essere interessata allo stato di salute economica dei publisher. Per quanto ci riguarda direttamente, il 47% degli italiani afferma di non essere interessato alla sopravvivenza economica, o meno, dei publisher.
Questo si riflette su uno dei temi più controversi degli ultimi anni: lo Stato deve suppportare, o meno, economicamente l’informazione? Mediamente poco più di un quarto [27%] delle persone ritiene che vi debbano essere aiuti statali. In Italia si sale al 31%, mentre il 42% è contrario e il 26% non ha un’opinione in merito.
Infine, anche quest’anno vogliamo ringraziare pubblicamente il Reuters Institute for the Study of Journalism per la puntualità del lavoro svolto, e Eduardo Suárez, per averci anticipato la settimana scorsa, sotto embargo, il report, consentendoci di avere il tempo per approfondirlo e “digerirlo”. Come d’abitudine vi invitiamo caldamente alla lettura del rapporto integrale al di là della nostra sintesi.
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