La Fieg, Il Giappone e le Edicole

Gli ultimi giorni della scorsa settimana sono stati caratterizzati da un’intensità fuori dall’ordinario per quanto riguarda il futuro delle edicole e le edicole del futuro.

Se dovessimo sintetizzarne i risultati non potremmo che prendere in prestito la celebre frase di Flaiano, adattandola al contesto. «La situazione delle edicole in Italia è grave ma non è seria». Ma procediamo con ordine.

Il 3 dicembre è stato presentato, in webinar, il tavolo veneto della filiera dell’editoria, che raduna tutti i soggetti coinvolti nel processo di produzione, distribuzione e vendita dei quotidiani e della carta stampata in generale. L’iniziativa è stata promossa da Confcommercio Veneto e da Snag, sindacato dei giornalai, per analizzare la situazione e gli scenari futuri delle edicole seguendo due principi: “modernizzazione” e “polifunzionalità”.

Uno dei tre principali sindacati dei giornalai, lo SNAG, ha lanciato l’ennesimo allarme su vita e morte delle edicole, con la chiusura, nel primo semestre del 2020, a livello nazionale, di 1.410 edicole che salgono a 2.027 se si includono anche i punti non esclusivi e la previsione di perderne un altro migliaio entro l’anno.

Per il Sottosegretario a informazione e editoria, Martella, la strada giusta da imboccare è quella di rafforzare il profilo di hub di servizi territoriali, assicurando l’impegno del governo a recuperare le risorse necessarie dall’Europa. Concorde sul concetto di polifunzionalità dell’edicola pure la Regione. Anche il il presidente dell’Anci Veneto e sindaco di Treviso, Mario Conte, ha richiamato al riguardo la sottoscrizione del protocollo Anci-Fieg, ribadendo quanto e come l’edicola non sia solo un punto vendita bensì un punto di riferimento sociale che va accompagnato e sostenuto nel suo trasformarsi in punto servizi [pagamento ticket sanitari prenotazione visite mediche e altro].

Nel piano per la modernizzazione e l’ottimizzazione della filiera editoriale, che abbiamo realizzato durante il “Conte I”, è scritto a chiare lettere che i problemi in tale area di possibile recupero contributivo e di “traffic building” sono sia di ordine prettamente economico, in quanto ad oggi la forma di remunerazione prevalente è quella di un abbattimento dei costi per le occupazioni di suolo pubblico, che di opportunità per le edicole “rurali”, spesso comunque punti vendita “misti” per lo scarso bacino di utenza.

In tal senso si ritiene che il parco di retailer potenzialmente coinvolto possa essere attorno ad un massimo di 5mila punti vendita poiché nei piccoli centri tale potenziale area di bisogno ha un appeal decisamente ridotto, se non nullo. Appeal ancor più scarso, se possibile, soprattutto se consideriamo la crescente transizione al digitale della PA, seppur tra mille ritardi e difficoltà, che renderà comunque nel medio periodo obsoleta l’erogazione di persona di tali servizi.

Il piano, con tutti i dettagli del caso, che naturalmente per etica professionale non possiamo e non vogliamo diffondere, è nelle disponibilità del Dipartimento a informazione e editoria, dunque ovviamente vi è conoscenza del fatto che è evidente come i servizi, di cui tanto si parla da anni, non sono neppure lontanamente in grado di fornire un recupero contributivo che tenga in piedi le edicole.

Alle edicole non bastano sussidi ma un sostegno strutturale per ripensare totalmente il proprio look e assecondare il cambiamento delle abitudini dei clienti. Il Presidente della FIEG, Riffeser Monti, è convinto di questo: «non si può essere attrattivi se i manufatti sono vecchi, danneggiati, vecchi. Così si rischia di far apparire “vecchio” anche il prodotto. Servono schermi tv, collegamenti digitali, offrire il caffè a un prezzo concorrenziale e se necessario anche la toilette».

Il canale edicole, abbandonato a se stesso, con gli editori che, vuoi per miopia, vuoi per taglio dei costi ovunque fosse possibile, hanno abdicato al ruolo di channel leader a favore della distribuzione intermedia, è diventato nel tempo un bazar, nella accezione negativa del termine. Un ricettacolo di chincaglierie, giocattoli cinesi, ed altri prodotti della fascia bassa del mercato, ad essere magnanimi, che hanno trasformato i punti vendita in una sorta di rete di negozi “tutto a un euro”, deteriorando l’immagine del canale rispetto ad altre forme e format di distribuzione di altre categorie merceologiche.

Siamo dunque concettualmente d’accordo con Riffeser Monti, anche se naturalmente è opportuno e necessario entrare nel dettaglio, a cominciare dal fatto che rifare i circa 12 mila punti vendita esclusivi prevede un investimento complessivo stimabile attorno ai 60 milioni di euro. Vanno inoltre anche considerate tutte le necessarie autorizzazioni da parte della macchina burocratica della PA, e possibilmente avere una visione d’assieme e un percorso strategico definito, che consenta di modificare, innalzandola, l’immagine dei punti vendita e della rete nel suo complesso. Cosa che allo stato attuale delle cose non pare essere tale.

Riffeser è poi tornato sull’argomento il giorno dopo, su RTL102.5, affermando che «serve trovare formule per le consegne a domicilio, per arrivare alla gente a casa», ha aggiunto, citando il caso di Giappone e Finlandia dove »le copie cartacee non sono crollate tanto come in altri paesi come Francia, Germania e Italia».

Al riguardo, appare chiaro che sia necessario rivedere una volta per tutte l’accordo, scaduto da oltre un decennio, a cominciare da una necessaria revisione dei margini, l’aggio, per edicole/edicolanti, ma non solo.

Inoltre, visto che il Presidente FIEG ha parlato anche di “fake news”, in Giappone i ricavi pubblicitari dei quotidiani sono calati del 28.9% tra il 2010 e il 2019. E le vendite, citate come esempio virtuoso, sono calate del 35.7%. Certo, la situazione non sarà così grave come nel nostro Paese, ma da lì a definirlo un caso positivo da imitare ce ne passa. Inoltre il mercato dei quotidiani in Giappone, contrariamente al nostro, è costituito per oltre il 90 per cento di abbonamenti tra i lettori. E dunque non è nemmeno lontanamente paragonabile. Così come non è paragonabile la distribuzione degli stessi che ha una capillarità che avrebbe costi folli, non sostenibili, in Italia.

Insomma, appare evidente che assumere come benchmark il Giappone non regge. Piuttosto si pensi al costo della disefficienza della filiera editoriale, ed ai rimedi, che sono possibili. Anche perchè i ricavi diffusionali, da qui al 2024, stando alle previsioni di PWC, saranno in ulteriore calo. E dunque ottimizzare la gestione non è un opzione, è un must.

In conclusione, spiace dirlo, ma l’impressione, diciamo, è che tutto questo parlare delle edicole sia un modo per buttare il fumo negli occhi con l’unico interesse di continuare a spillare soldi allo stato, dunque a noi tutti, e al tempo stesso mantenere l’attuale status quo il più a lungo possibile. Del resto se l’interesse nei confronti dell edicole fosse effettivo, da un lato non si capisce perchè il nostro piano, che è stato approvato, non venga implementato, dato che per di più mette in condizione di rispettare, finalmente, la legge sulla tracciabilità delle vendite e delle rese di quotidiani e periodici. A meno che non di debba pensare che è proprio quello il motivo. E, dall’altro lato, si procederebbe speditamente a rinnovare l’accordo tra FIEG e reppresentanze degli edicolanti, che come abbiamo detto è scaduto da più di dieci anni.

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