Qual è il valore del settore media in Italia?, e come si è “evoluto” in questi ultimi dieci anni? Un modo per rispondere a queste domande è guardare il valore delle capitalizzazioni delle aziende quotate in Borsa inserite, appunto, nel settore “media”. La Borsa Italiana pubblica ogni mese i valori “storici” delle società quotate per settore.
Bene diamo subito qualche dato: nel maggio del 2008 al settore “Media” era dato un valore complessivo di capitalizzazione di 13,433 miliardi di euro e un peso percentuale sul totale delle quotazioni del 2,1%. Le aziende inserite nel settore media erano 21.
Ma il 2008, lo sappiamo bene è un anno molto particolare la crisi economica e finanziaria sta per farsi sentire in maniera violenta, e infatti già nel 2012 la capitalizzazione del settore media è drammaticamente scesa a 3,098 miliardi (e le aziende del settore quotate sono 15). Il 2012 rappresenta però il il punto più basso dal quale il settore, per fortuna, risale. Già nel 2014 la capitalizzazione delle società appartenenti al settore Media è di 7,043 miliardi di euro.
Nell’ultimo “storico” pubblicato dalla Borsa, quello di maggio 2018, la capitalizzazione è di 6,851 miliardi di euro.
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Il conforto nei dieci anni quindi vede una perdita di valore del settore media di 6,851 miliardi di euro (-49% praticamente la metà del valore è stata bruciata sul mercato). C’è però da dire che nel 2008 tra le 21 società inserite nella categoria media ne troviamo diverse che oggettivamente con questo settore avevano poco a che fare – ad esempio le squadre di calcio quotate come Juventus o Roma – che negli anni successivi sono state inserite in altri settori. Resta però evidente, al di là di questa precisazione, quanto in Italia il settore dei media abbia sofferto la crisi e poco o niente sia riuscito a creare nuove opportunità di crescita.
La crisi dei media cartacei (quotidiani, riviste, libri) e una televisione che pur dominando gli investimenti pubblicitari – molto più di quanto accade all’estero – non riesce a guidare una rinascita dei ricavi sembra lo scenario sul quale si è arenato questo settore in Italia.
Il valore delle società dei media infatti perde consistentemente peso sul valore generale della Borsa: se il peso totale della capitalizzazione del settore era del 2,1% nel 2008 dieci anni dopo è dell’1,1%. Al di là delle uscite di alcune società dalla classificazione “Media” alle quale abbiamo accennato, è evidente un forte ridimensionamento.
Bisogna sottolineare infatti che: la capitalizzazione complessiva di tutte le quotate della Borsa italiana era, nel 2008, di oltre 625 miliardi e nel 2018 è – dopo la flessione gli anni della crisi finanziari e poi la lenta risalita- di 636 miliardi con un lieve aumento del 2%. La drammatica flessione di valore del settore Media del 49% quindi si inserisce, in controtendenza negativa, in un quadro generale di leggera ripresa di valore.
Guardiamo più nel dettaglio: le prime cinque società per valore del settore media nel 2008 erano nell’ordine: Mediaset, il principale broadcaster commerciale italiano, seguita da tre editori tradizionali come Rcs, Mondadori ed Espresso e infine Seat Pagine Gialle. Dieci anni dopo vediamo ancora Mediaset al primo posto seguita da Ray Way, quotata dal 2014, poi Rcs (che perde una posizione), Cairo Communication e Mondadori.
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Un dato fondamentale: le prime cinque società del settore media nel 2008 sommavano un valore di 10,621 miliardi di euro mentre le “top 5” del 2018 hanno una capitalizzazione complessiva di 5,842 miliardi di euro. 4,778 miliardi in meno (-45%) un valore cioè quasi dimezzato (da notare che questa flessione di valore rappresenta da sola circa il 70% di quella totale dell’intero settore).
Una flessione dovuta al forte ridimensionamento di Mediaset (-46,3% nel confronto 2018-2008) Mondadori (-74%) e Rcs (-58%), solo in parte compensato dall’ingresso di Ray Way (capitalizzazione a maggio 2018 di 1,136 miliardi di euro) e l’incremento di valore messo a segno da Cairo Communication, +200 milioni rispetto al 2008.
La situazione negativa si ripete, più o meno nella medesima proporzione, se guardiamo alle “top 10” con un valore di capitalizzazione che passa dai 12,216 miliardi di euro del 2008 ai 6,713 miliardi del 2018. Nel confronto si perdono 5,502 miliardi in dieci anni pari a -45%.
Se mettiamo a confronto la lista delle prime dieci società di media italiane per capitalizzazione a distanza di dieci anni vediamo come Mediaset resti saldamente al primo posto ma con un valore decisamente ridotto (praticamente dimezzato come già scritto), al secondo posto si piazza la quotata del gruppo Rai, Rai Way che si occupa delle infrastrutture della televisione di Stato (quindi non di contenuti), ovvero i primi due operatori televisivi ai primi due posti.
Se non bastasse questo per sottolineare una realtà sempre più telecentrica c’è da notare come il gruppo Cairo Communication (proprietario di La7) sia l’unico a crescere di valore tra i top 10 del 2008 (200 milioni pari a un +88%).
I grandi gruppi legati ai quotidiani retrocedono e subiscono forti svalutazioni: Rcs -800 milioni (dal 2° al 3° posto) Caltagirone -65% (dal 6° all’8° posto) e soprattutto il Gruppo Espresso, oggi Gedi, che nonostante le nuove fusioni e l’ingresso di un socio importante come Exor, scende dal 4° al 7° posto e, quello che più conta, deve confrontarsi con un valore che dai 866 milioni dal 2008 precipita ai 181 milioni del 2018.
Da sottolineare inoltre come il “pass” di ingresso nella top 10 del 2008 fosse pari a un valore di 226 milioni di euro mentre nel 2018 questo valore scenda a quasi un terzo: 82 milioni.
Un’ultima nota ha valore spenderla per le new media company nostrane: nel confronto 2008 vs 2018 Italia Online perde il confronto con Seat Pagine Gialle (le due società si sono fuse nel 2016) -63%, mentre Dada (dieci anni fa l’azienda fiorentina era la nona società di media più quotata in italia), per diversi anni uno dei simboli delle internet media made in Italy, dopo vari passaggi – anche nell’orbita Rcs – non è più tra le quotate visto che è stato completato il delisting lo scorso marzo.
Insomma se qualcuno si aspettava che nel decennio della grande disruption digitale emergesse nel panorama dei media italiani qualche nuova internet media capace di controbilanciare, anche parzialmente, la grave perdita di valore dei grandi gruppi, non può che essere rimasto molto deluso.
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