Lunedì mattina 18 Settembre, i lettori dei due maggiori quotidiani italiani si sono svegliati con un presunto scoop riguardante importanti novità in merito alla triste vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi, che coinvolgerebbero direttamente i vertici del Vaticano.
Il titolo di Repubblica [online] è categorico: Emanuela Orlandi, il giallo del nuovo dossier: “Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per il suo allontanamento”.
Segue un dettagliato resoconto a firma di Emiliano Fittipaldi, che snocciola tutti i particolari di questo esplosivo “dossier”. Viene offerta anche una galleria fotografica con le 5 pagine scansionate che compongono il “documento choc” uscito dal Vaticano e finito nelle mani dell’autore del pezzo.
Come poi emerge addentrandosi nella lettura, questo grande “scoop” condiviso con il Corriere della Sera cartaceo – Emanuela Orlandi, il dossier segreto del Vaticano: “Spesi 500 milioni per lei fino al 1997”: è giallo sul dossier – a firma di Fiorenza Sarzanini non sarebbe altro che un’anticipazione – il “cuore” – del nuovo libro dello stesso Fittipaldi, Gli impostori, tra qualche giorno in libreria.
A dire il vero, il Corriere neppure fa accenno all’imminente iniziativa editoriale; parla soltanto di “un dossier che circola negli uffici della Santa Sede”, il cui esame – probabilmente fatto dalla stessa autrice Sarzanini –, “non fornisce alcun riscontro che si tratti di un documento originale perché non contiene timbri ufficiali”.
A corredo dello slideshow che anche il quotidiano diretto da Luciano Fontana pubblica si accenna poi a generiche (in corso?) verifiche sulla sua autenticità.
Non so se è vero, ma lo pubblico
Ma è il sommario di Repubblica a fare davvero la differenza nel racconto della vicenda, dando per scontato sia l’ipotesi di veridicità del documento, sia la sua falsità: “Se è vero, apre squarci clamorosi sulla vicenda della ragazzina scomparsa nel 1983. Se falso, segnala uno scontro di potere senza precedenti nel pontificato di Francesco”.
Come a dire: in entrambi i casi abbiamo ragione noi. Però questo modo di procedere fa drizzare le orecchie anche al lettore meno accorto, e nella migliore delle ipotesi porta a una ulteriore flessione di credibilità nei confronti della stampa in generale e della categoria dei giornalisti in particolare, flessione che entrambi i settori, stando ai dati che vengono diffusi periodicamente, non si possono proprio più permettere.
La prima considerazione che viene da fare di fronte ad un sommario del genere – che è poi il leit motiv che accompagna entrambi i pezzi di Repubblica e Corriere – riguarda la regola base a cui ciascun giornalista deve sottostare: la verifica della veridicità delle informazioni.
Se non sono in grado di verificare se i dati in mio possesso sono veritieri, devo assolutamente diffidare dalla loro diffusione.
E le pezze d’appoggio?
Fa parte delle mie prerogative di giornalista, infatti, trovare le “pezze d’appoggio” in merito a ciò che scrivo e alle affermazioni che faccio. Altrimenti è la babele più totale, perché chiunque potrebbe scrivere una cosa e il suo contrario, lasciando a chissà chi (al lettore? Al caporedattore a cui sottopongo il mio testo? Alla persona o all’istituzione che accuso? Alle autorità preposte?) il beneficio della prova.
Si capisce da sé che questo modo di fare non sta in piedi ed è solo finalizzato ad altri scopi che se non ci vengono detti possiamo solo immaginare.
Da una parte, colpisce che entrambi i quotidiani nutrono almeno un minimo dubbio sull’attendibilità del documento. E allora perché pubblicarlo, e con così tanta enfasi? In effetti, nei rilanci degli articoli – oltre evidentemente ai titoli, che come prassi non ammettono il beneficio del dubbio – fatti sui social, la consapevolezza della possibile inattendibilità del carteggio scompare:
Emanuela Orlandi, il giallo del nuovo dossier: “Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per il suo… https://t.co/HFOf3uuAyW
— la Repubblica (@repubblica) 18 settembre 2017
Le smentite? Ci diano delle spiegazioni piuttosto!
Di fronte alle prime smentite giunte dalla Santa Sede – il portavoce vaticano Greg Burke lo ha subito definito la vicenda “falsa e ridicola”, mentre uno dei protagonisti, il Cardinale Giovanni Battista Re, ha negato assolutamente l’esistenza della materia discussa, sia di aver visto il documento sia di averlo ricevuto al tempo in cui risalgono i fatti: – Fittipaldi si è difeso ripetendo quanto compariva già nel sommario del suo articolo, l’ormai famosa dicotomia “se è vero, se è falso”.
Ha poi aggiunto che “qualsiasi documento può essere falso, ma questo era in una cassaforte del Vaticano. Io ho faticato molto per averlo e ora la Santa Sede ci deve delle spiegazioni” [Vedi qui].
Anche in questo caso l’onere della prova è demandato a chi è accusato, anche se non siamo sicuri delle accuse che gli rivolgiamo. Un ragionamento non proprio lineare.
A dimostrazione della schizofrenia e della confusione che regna nelle redazioni di entrambi i quotidiani, nonostante appunto le varie smentite, gli articoli principali sono rimasti al loro posto, così come pure i titoli categorici.
Per “diritto di cronaca”, immaginiamo, gli sono stati poi affiancati, con molto meno risalto evidentemente, i pareri e le affermazioni di chi smentiva.
In serata, intanto, è arrivata la smentita ufficiale della Segreteria di Stato vaticana affidata ad un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede:
“Per il lancio di un libro d’imminente uscita, questa mattina due quotidiani italiani hanno pubblicato un presunto documento della Santa Sede che attesterebbe l’avvenuto pagamento di ingenti somme, da parte del Vaticano, per gestire la permanenza fuori Italia di Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma il 22 giugno 1983.
La Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute.
Soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi, alla quale la Segreteria di Stato ribadisce la sua partecipe solidarietà”.
Ciò per quanto riguarda l’attitudine professionale degli estensori degli articoli e dei caporedattori e direttori che ne hanno favorito la pubblicazione e la diffusione.
Un documento “patacca”?
Se invece entriamo nel merito del carteggio presentato in pompa magna, notiamo molte altre incongruenze che fanno restringere il beneficio del dubbio circa la sua inautenticità.
Cosa conterrebbe
Il documento conterrebbe il rendiconto delle spese sostenute dallo Stato Vaticano per gestire il rapimento di Emanuela Orlandi e la sua permanenza all’estero, in vari convitti londinesi, oltre alle spese per delle indagini su un dichiarato depistaggio, per alcune altre indagini private e per non precisate attività svolte dall’allora Segretario di Stato Agostino Casaroli e dal Vicario di Roma Ugo Poletti.
Per 14 anni, insomma, il Vaticano avrebbe pagato rette, vitto e alloggio, spese mediche e spostamenti alla Orlandi. Almeno fino al 1997, quando l’ultima voce parla di un ultimo trasferimento in Vaticano e “il disbrigo delle pratiche finali”, riferibili ad una sua morte.
Il font
Andiamo con ordine. Intanto soprassediamo sul font [Andale Mono] che caratterizza la lettera, di cinque pagine, “scritta al computer o, forse, con una telescrivente”, chiosa subito Fittipaldi; qui il dubbio è d’obbligo dato che il documento porta la data del 1998, anche se tutto può essere.
Senza firma e senza timbri
Lo stesso documento è intanto privo di firma, di qualunque timbro o intestazione ufficiale e non è affatto protocollato, anche se questa evenienza viene spiegata in chiusura della missiva.
“Riverita” a chi?
Per chi mastica un poco di ecclesialese, saltano subito agli occhi i titoli di cortesia utilizzati per i destinatari: “Sua Riverita Eccellenza”, mai sentito in ambienti vaticani, in luogo del comunissimo “Sua Eccellenza Reverendissima”.
Attenti al nome
Un’altra svista riguarda il secondo destinatario, l’“Arcivescovo Jean Luis Tauran” mentre il suo nome corretto è “Jean-Louis” [Vedi qui].
Suona inusuale mettere luogo e data di nascita della cittadina Emanuela Orlandi nell’oggetto, che invece è riferito al “resoconto sommario delle spese sostenute”, quasi a voler richiamare un “guardate che è proprio lei”.
Nessuna prefettura
Sempre per chi conosce l’organizzazione della Curia Romana, desta sospetto anche l’incipit dello scritto, in cui si parla di “prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica”, ma tutti sanno che al vertice della cosiddetta APSA c’è da sempre un Cardinale Presidente e non un Cardinale Prefetto.
Sarebbe bastata una ricerca sulla voce del Cardinale Antonetti, firmatario della lettera in questione, per verificare che tra i tanti incarichi svolti c’è infatti la “Presidenza” dell’APSA. La confusione è forse sorta con un altro organismo che si occupa di questioni economiche, la Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede, e tra poco capiremo perché.
Altre sviste e incongruenze
Fa simpatia anche l’errore [di battitura?] che compare già nella terza riga, “resosi” invece di “resesi” riferito alle “prestazioni economiche”.
Non c’è traccia, evidentemente, di nessuna delle 197 pagine di allegati “al presente rapporto” di cui si fa accenno.
Il resoconto economico che inizia a pag. 2 parte dal “gennaio 1983”: un’altra chiara incongruenza. Il documento, come è scritto, raccoglierebbe “le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare” di Emanuela Orlandi, che invece è avvenuto il 22 giugno di quello stesso anno.
Semplice campagna di marketing?
Sentendo quanti hanno verificato il caso e stando a ciò che racconta lo stesso Fittipaldi, sembra che il documento provenga dall’archivio di mons. Lucio Vallejo Balda, il sacerdote spagnolo già Segretario della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede – ecco la prefettura!
Dal 2013 al 2014 il prelato ha guidato i lavori della commissione COSEA, incaricata di fare uno screening sui conti e sulla gestione amministrativa di tutti i dicasteri vaticani. Egli stesso fu imputato e condannato nel noto processo Vatileaks 2, che tra l’altro vedeva tra gli imputati anche l’estensore dell’articolo su Repubblica Fittipaldi, per la pubblicazione di due libri – l’altro di Gianluigi Nuzzi – contenenti carteggi segreti della COSEA.
È molto probabile, dunque, che il documento sia stato redatto in queste circostanze, e quindi diffuso (resta da capire da chi?) per depistare, ricattare o nella migliore delle ipotesi scrivere libri, mescolando particolari veri o verosimili con altri di pura invenzione.
L’unica certezza resta il dolore della famiglia Orlandi e i tentativi di piccolo cabotaggio per una campagna di marketing che possa risultare proficua.
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