Una selezione ragionata delle notizie su media, giornalismi e comunicazione da non perdere, commentate.
- Il Grande Fratello Moltiplicato per Tre – Google, Facebook e Amazon dominano il mercato grazie al loro monopolio: eppure l’ America di Woodrow Wilson sapeva che i trust sono una minaccia per la democrazia. In appena dieci anni, le cinque aziende più grandi del mondo per valore azionario sono cambiate tutte, tranne una: Microsoft. Exxon Mobil, General Electric, Citigroup e Shell Oil non sono più al vertice della classifica, sostituite da Apple, Alphabet – la società madre di Google – e Facebook. Sono tutte aziende tecnologiche e ognuna domina il proprio settore: Google ha una quota di mercato dell’ 88% nel search advertising, Facebook [con le sue controllate Instagram, WhatsApp e Messenger] possiede il 77% del traffico dei social network su dispositivi mobili e Amazon ha una quota del 74% nel mercato dell’ e- book. In termini economici classici, tutte e tre sono dei monopoli. Miliardi di dollari sono stati spostati dai creatori di contenuti ai proprietari di piattaforme monopolistiche. Tutti i creatori di contenuti che dipendono dalla pubblicità devono negoziare con Google o Facebook come aggregatore, la sola possibilità di salvezza tra loro e la grande nuvola di internet. Non sono solo i giornali a passarsela male. Nel 2015, due consulenti economici di Obama, Peter Orszag e Jason Furman, pubblicarono un documento in cui si afferma che l’ aumento di “rendimenti eccezionali del capitale” in imprese con una concorrenza limitata sta portando a un aumento della disuguaglianza economica. In sostanza, può darsi che dovremo aspettare quattro anni, e a quel punto i monopoli saranno così dominanti che l’ unico rimedio sarà quello di smembrarli. Costringendo Google a vendere Double-Click. Costringendo Facebook a vendere WhatsApp e Instagram. Woodrow Wilson aveva ragione quando disse, nel 1913: “Se il monopolio continua, esso rimarrà sempre alla guida del governo”. Ignoriamo le sue parole a nostro rischio e pericolo. Articolo pubblicato solo sul cartaceo di Robinson e non disponibile online. Cosa che la dice lunga su quale sia ancora oggi l’orientamento prevalente degli editori. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, non i monopoli.
- I Cialtroni delle Classifiche – Strappano periodicamente titoloni sui media, sollecitano l’istinto italico masochistico e autodenigratorio e ci fanno sensibili danni non solo economici. Stiamo parlando delle classifiche che gli enti e le società più disparate diffondono su argomenti come la facilità di fare affari nei vari paesi, la corruzione, la libertà di stampa e via dicendo. L’Italia è invariabilmente ultima più o meno in tutto tra i pesi europei, e in molti casi è superata in graduatoria anche da paesi lontani anni luce dal nostro livello di sviluppo. Di norma i nostri media accolgono queste classifiche come se fossero oro colato, e le varie parti politiche le usano semmai per strumentalizzarle per i fini della loro propaganda. Non risulta che qualcuno ci abbia mai “guardato dentro”, chiedendo conto della metodologia usata e controllando se i dati sono stati raccolti correttamente. Adesso finalmente qualcuno lo ha fatto, e ha trovato cose che voi umani non potete neanche immaginare. Sensazioni di campioni ristretti e non rappresentativi spacciate per dati, errori grossolani di raccolta di questi ultimi che falsano clamorosamente i risultati, scelte arbitrarie guidate da impostazioni ideologiche, insomma una montagna di errori che farebbero bocciare senza appello qualsiasi studente al primo esame di metodologia. Fare una ricerca – anche fatta male – è da sempre il sistema migliore per far parlare di se i media. Chi sono i cialtroni delle classifiche? [domanda retorica]
- Non Esiste il Dovere di Cronaca – Anna Masera, Public Editor de La Stampa, dedica la sua rubrica settimanale al “mail bombing dei “no vax”, infuriati per l’assenza di copertura mediatica della manifestazione a Pesaro del 9 luglio ultimo scorso. Nel suo pezzo scrive che «È lecito criticare i giornali e i giornalisti, ci mancherebbe: ma non esiste il “dovere di cronaca”, fino a prova contraria i giornali sono ancora liberi di scegliere di che cosa occuparsi. Se la copertura delle notizie non soddisfa le esigenze dei loro lettori, i giornali rispondono alla logica di mercato. Quindi è cruciale saper ascoltare e percepire gli interessi del pubblico. Ma non si tratta di una violazione delle regole deontologiche. Semmai esiste un diritto di cronaca che si configura come “un diritto-dovere”, cioè un dovere del giornalista connesso all’esercizio del diritto di cronaca e di critica». Secondo quanto riportato pare sia un principio sancito dal alcuni testi sacri – quale il “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione” [Cedam / Gruppo Wolters Kluwer 2016, giunto alla settima edizione] -, ed anche del testo unico dei doveri del giornalista aggiornato dall’OdG ad inizio 2016. Capisco ma NON condivido la logica sottostante, mi spiace ma l’agenda setting giornalistica oggi si fa con i lettori, con le persone, non a prescindere da queste, altrimenti, come è sotto gli occhi di tutti, i risultati si vedono.
- Dinosauri in Carta & Stampa alla Riscossa – Salvatore Bragantini, classe 1943, editorialista del Corriere della Sera dal 1994, con una grande esperienza in ambito economico – finanziario, si spinge fuori dal suo terreno e si vedono i risultati. Nell’editoriale per il Corsera di quale giorno fa “Così Internet mette a rischio la nostra democrazia” si avventura nell’ennesima dissertazione su quanto i giornali siano necessari per la democrazia e di come Internet e gli OTT siano “brutti e cattivi”. Tra le altre cose è possibile leggere che «[…] I cittadini sono male, e meno, informati; i giornali non riescono a darsi un modello di business adatto alla nuova realtà, cioè a incassare abbastanza da far ancora bene il proprio lavoro. Il colpevole, o meglio il responsabile, è, come in certi gialli, simpatico, colto, moderno, ricco, insospettabile: il “signor Ott”». I giornali sono in crisi da, almeno, un decennio, da quando Facebook ed Amazon erano i fasce, neo nati o giù di lì, e Google era molto lontano dall’essere quel che è oggi. Se i giornali oggi sono nella situazione in cui si trovano l’unica responsabilità è da ricercarsi all’interno di questi. Lo scaricabarile non ha mai funzionato per risolvere i problemi e ci si può giurare che non funzionerà neppure questa volta. Mi spiace ma è così, sic et simpliciter.
- Class Editori si Butta sulla Formazione – Nel nuovo scenario fatto di una sostenibilità economica dei publisher, che passa attraverso un mix di ricavi invece che solamente il binomio vendite – pubblicità, la formazione può costituire un’area complementare di revenues da non trascurare, come dimostra la rilevanza di quest’area per i conti del Gruppo Sole24Ore [di cui è stata rencentemente ceduta la quota minoritaria al fondo di private equity Palamon Capital Partners]. Ecco che allora anche il diretto concorrente, Class Editori, tenta questa strada. Infatti, secondo quanto riportato, Class Editori e Università Telematica Pegaso, attiva nei corsi universitari online, hanno costituito una associazione in partecipazione per realizzare un progetto di amplissimo respiro, dai Master alla formazione online, alla diffusione della conoscenza e dell’ informazione a elevato valore aggiunto, per studenti, manager, top manager e professionisti. Dal prossimo autunno prenderà il via l’attività della Business School Milano Finanza e della Business School ItaliaOggi. Buona idea peccato realizzata in parnership con un interlocutore – Università Telematica Pegaso – che, a torto o a ragione, non brilla certo per immagine di qualità. Secondo me così non funziona.
- Gli influencer Visti con Occhi Disincantati – Dalle colonne, virtuali, de il Foglio nella sua edizione online in 21 punti una sintesi tanto ironica quanto efficace di una delle figure emblematiche della contemporaneità: l’influencer. Tra tutte la migliore è «Far partire un pippone sull’insensatezza di questa società che fa guadagnare milioni di euro l’anno a una stronza che si fa dei selfie con delle magliette piene di strass e affama i dottorandi in biologia. Raccogliere consensi a buon mercato. Replicare tuonando contro il moralismo populista posiziona come voci fuori dal coro». Ecco!
- Line Extention & Editoria – È di questi giorni la notizia secondo la quale Condé Nast si appresta a chiudere la galassia Vogue a parte Vogue stesso. Come è stato comunicato ai comitati di redazione venerdì 28 luglio, a breve spariranno dalle edicole Vogue Uomo, Vogue Bambino, Vogue sposa e Vogue accessori, tutte filiazioni del giornale che Franca Sozzani aveva reso il secondo al mondo per importanza, dietro soltanto all’originale americano. I giornalisti coinvolti, è stato specificato, non saranno riassorbiti dall’editore. Questo nonostante il bilancio 2016 si siachiuso con 3 milioni di utili [nel 2015 erano stati 2,3], su un fatturato di 127.3 milioni. Su quali siano le cause, al di là delle motivazioni uffficiali, interviene Elisa Motterle, ex giornalista del Gruppo Condé Nast che scrive «Oggi Condé Nast paga decenni di gestione miope e totalmente inefficiente, schiava di favoritismi vergognosi e politiche inette che erano talmente MACRO da essere evidenti già quindici anni fa pure agli occhi di una ragazzetta provinciale di 22 anni che ci metteva piede per la prima volta». Non so voi ma personalmente, dopo 10 anni che “bazzico”, a vario titolo, il mondo dei publisher, non son per niente sorpreso della diagnosi della Motterle, sto ancora aspettando, da tempo, una risposta alla domanda fatta ad un siumposium all’ex Presidente dell’OdG, Iacopino, su quali siano i citeri che permettono ad u n giornalista di far carriera. A sentire la Motterle sembra siano chiari, ahimè.
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