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Una sele­zione ragio­nata delle noti­zie di oggi su media, gior­na­li­smi e comu­ni­ca­zione da non per­dere, commentate.

  • Modelli di Business – Il modello di business della Condé Nast dipende dai ricavi pubblicitari che pesano oltre il 70% sul totale. E quando la pubblicità crolla su tutto il mercato editoriale, ovvio che l’effetto sui margini sia enorme. Mondadori o Cairo sono gruppi editoriali più concentrati sulle diffusioni. Condé Nast invece ha un problema serio, non è solo in Italia, ma pure all’estero. Gli investimenti pubblicitari calano sui mezzi tradizionali, e neppure la miglior piattaforma digital riuscirà mai a intercettare quello che ora va a Google o Facebook. Gli editori di carta stampata, quindi, si dovranno accontentare di una fetta di torta più piccola, dividendosela in tanti. Oppure inventarsi business con ricavi non pubblicitari. Consulenze, marketing service, attività accessorie. Burda, per esempio, ha aperto un sito che confronta i prezzi e che prende una percentuale in base alle transazioni effettuate dai clienti dopo il confronto. Se Condé Nast continuerà, invece, a puntare esclusivamente sulla pubblicità anche nelle operazioni sul digitale, rischia di rimanere pericolosamente in una terra di mezzo. In caso di dubbi su quello che viene scritto, anche, in questi spazi ormai da un lustro.
  • Impression – Le impression sono come le azioni per Enrico Cuccia: si pesano non si contano. Ne è convinto Marco Caradonna, CEO di Carat Italia, agenzia media del gruppo Dentsu Aegis Network. Intervistato da Affari Italiani in riferimento al mondo dell’editoria, Caradonna non ha dubbi: «Perderà chi continua ad inseguire delle audience senza produrre contenuti di qualità, chi fa aggregazione di audience di breve periodo». Io, da tempo, dico che la ricerca di volume e non di valore non è la strada giusta. Meditate gente, meditate…
  • Big Data & Social Data – Non solo le conversazioni in rete sono diventate un mercato rilevante nel contesto digitale, ma queste influenzano fortemente anche tutti gli altri mercati dei consumi e dei media, in un modo assai più dirompente dell’effetto che scatenò la pubblicità negli anni Sessanta. Per aziende, organizzazioni e istituzioni è sempre più interessante tuffarsi in questo mare di chiacchiere, immagini, dati, opinioni e informazioni da elaborare per rendere più efficiente l’operatività e dare un ulteriore supporto, consuntivo e previsionale, ai processi interni di decision making. Per social data si intendono tutte quelle informazioni espresse in una forma leggibile dal computer e che contengono metadati relativi non solo ai contenuti, per esempio di un tweet, ma anche al contesto e quindi tutte le informazioni sulla posizione, sul livello di engagement di chi l’ha scritto, sulla lingua utilizzata, gli eventuali url dei siti web che sono stati linkati e l’interazione che ha generato. Tutti questi dati vengono normalizzati, cioè resi omogenei indipendentemente dalla piattaforma di provenienza, sia essa Twitter, Instagram o Tumblr. Ma non Facebook – tranne le fanpage – e dunque, anche se nessuno lo dice, siamo bloccati dal walled garden più recintato al mondo ed i dati di cui si parla sono assolutamente parziali, per usare un eufemismo.
  • I Tempi Sono Importanti – I tempi sono importanti. Fanno la differenza tra un provvedimento in grado di ristrutturare l’industria dell’editoria nazionale, garantendo speranza dopo anni di desertificazione o di somministrare placebo ad un malato grave, magari accontentandosi di fargli cambiare letto. Il principio base sul quale ha lavorato il Governo è questo: l’editoria non deve godere di particolari privilegi rispetto al sistema generale. Non deve avere norme di favore su ammortizzatori, prepensionamenti e pensioni. Un principio che non si può non sottoscrivere, vista la condizione del paese e gli abusi di un recente passato. E non si può non sottoscrivere un altro principio: il nuovo, per ricevere danaro pubblico, deve essere tendenzialmente digitale e deve avere occupati contrattualizzati e pagati regolarmente. Gli editori continuano a pensare solo a tagli del costo del lavoro, continuando pesantemente a ristrutturare, non considerando chiusa quest’ultima fase. Non pare siano entrati in una prospettiva di rilancio e investimenti. Vale per giornali e giornalisti così come per i peones dell’editoria: gli edicolanti.
  • Video e Mobile, Accoppiata Vincente – La ricerca di AOL “State of Industry Video” ha sondato a livello globale il comportamento dei consumatori e le aspettative del mercato in merito a questa esplosione della visualizzazione dei video. La curva dell’attenzione dei consumatori continua a diminuire, soprattutto on-line. Infatti, anche se il consumo di video on-line è in aumento indipendentemente dalla lunghezza del video, è il formato breve a crescere più velocemente. Il 76% dei consumatori guarda video della durata di 1-5 minuti più di una volta a settimana. Nel mondo gli inserzionisti stanno continuando a ridurre i budget destinati alla televisione a favore di investimenti video in ambito digitale. Degli inserzionisti che hanno spostato il budget pubblicitario dalla TV, il 70% si sta concentrando sul video digitale. Il 40% degli inserzionisti dichiara di investire in branded video e intende continuare su questa strada. Gli investimenti si concentreranno su: branded content video [55%]; video della durata di 1-5 minuti [52%]; nuovi formati, tra cui video 360°, Virtual Reality, Augmented Reality [50%]. Nel 68% dei casi inserzionisti e editori hanno dichiarato che «la mia azienda capisce l’importanza che il video advertising dovrà avere negli investimenti pubblicitari futuri». Sarà per questo che continuano a rubacchiare video dalla Rete e metterci il loro logo?
  • Parole Forti [e Giuste] – «Non  ho nostalgia della corporazione che sta morendo sotto il peso dei suoi difetti. Non mi piace l’Ordine dei Giornalisti. Così com’è, è in pratica inutile. Ma trovo desolante questa proletarizzazione insulsa della professione, quest’epica dell’universalità della rete che trasforma i redattori in minatori del web, peraltro destinati a essere sostituiti non in piccola parte [succede già] da disciplinati algoritmi. Applaudo all’emergere degli user generated content, ovvero dei contenuti generati dagli stessi utenti. Si è creata così un immensa piazza di libertà, evviva. Le reticenze dei media tradizionali vengono facilmente smascherate, si pubblicano più notizie sgradite al potere. Perfetto. Ma, noto con sgomento, come ciò non corrisponda alla creazione di un’opinione pubblica adulta e avvertita. Ma al suo contrario: un magma di umori e sentimenti che fluttua impetuoso sui social network. Si nutre di pensieri unici, coltiva il pericoloso mito della semplificazione della realtà che induce a individuare con facilità capri espiatori e a credere a qualsivoglia complotto. Moltitudini che si aggregano per identità di opinioni e gusti. Entusiasti di trovare connessioni senza confini ma disinteressati a conoscere idee e realtà diverse. A coltivare il dubbio, l’etica del confronto e del rispetto dell’altro. Sudditi più che cittadini» Lo scrive Ferruccio de Bortoli nell’introduzione del suo libro: “Poteri forti (o quasi)” mentre, a proposito, tutti i media ne hanno parlato solo per “il caso” Banca Etruria.
  • Meta-Bufale – Snopes, un sito americano che si occupa davvero di smentire le bufale, ha definito Mediamass un sito di meta-bufale: nella sezione “Chi siamo” del sito – che esiste in 7 lingue – viene specificato che Mediamass esiste dal 2012 come sito satirico, «veicolo della nostra satira per esporre con umorismo, l’esagerazione e il ridicolo della produzione e del consumo di massa contemporaneo che osserviamo», avverte un paragrafo che sembra essere uscito da un traduttore automatico. In realtà non c’è niente di satirico: Mediamass sembra una delle molte operazioni per fare soldi con la pubblicità online ingannando i lettori sfruttando il fenomeno delle notizie false, anche se in un modo leggermente diverso dai “soliti” siti che inventano notizie: sia la homepage sia le pagine che contengono le “notizie” sono imbottite di pubblicità. Il meccanismo non sembra neppure troppo elaborato: sia che muoia davvero un personaggio famoso, sia che quelli di Mediamass si inventino una bufala da smentire, viene pubblicato un pezzo praticamente identico in cui viene smentita la notizia della sua morte. Dalla post-verità alle meta-bufale. Da aggiungere al dizionario. Sigh!

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