Di pratiche di engagement per i giornali – ovvero delle strategie di ascolto, interazione e coinvolgimento diretto con la comunità dei lettori – si parla ormai da qualche anno anche in Italia, non sempre nelle redazioni italiane la teoria segue la pratica ma è indubbio che qualche passo significativo sia stato fatto [qui per le slide di un workshop sull’argomento di qualche anno fa].
È però sempre interessante leggere qualche report che fa il punto su pratiche di engagement perché in queste strategie è fondamentale studiare e confrontarsi con esperienze realizzate sul campo che continuano ad evolversi. Democracy Fund (la fondazione voluta da Pierre Omidyar) ha realizzato questa ricerca “Pathways to Engagement: Understanding How Newsrooms are Working with Communities” che ha il pregio di fare il punto sulle diverse strategie adottate negli Stati Uniti dalle testate e di portare un buon numero di buone pratiche come esempi. Come sempre consigliamo la lettura completa del report [la pagina dove scaricarlo è questa] .
«A new generation of engaged journalism practitioners is rethinking relationships with communities» scrivono gli autori del report e, in effetti, dopo diversi anni, almeno negli Stati Uniti, un po’ di pratiche si sono consolidate ed è tempo di ripensarle e aggiornarle. Per questo è davvero utile questo documento per gli esempi concreti che porta e che consiglio di approfondire. Qui mi limito a elencare i nove diversi campi di attività che il report suggerisce, niente di assolutamente nuovo, ma un buon riepilogo non fa mai male:
1. Solutions-Focused Collaboration: ovvero progetti di giornalismo che vedono più testate coinvolte lavorare assieme su un unico progetto. Uno dei lavori più interessanti, a mio parere, è SF Homeless Project realizzato sui senzatetto di San Francisco da diverse testate (il quotidiano San Francisco Chronicle, la rivista Mother Jones ma anche piccole testate locali online come The E’ville Eye News)
2. Crowdsourcing: progetti che chiedono direttamente ai lettori un contributo, il proprio punto di vista, immagini o video, ma anche sessioni di domande e risposte con esperti, tutti questi diversi materiali sono poi da integrare in un progetto di reporting più ampio e articolato (quindi NON semplicemente mandateci i vostri articoli, diventate anche voi giornalisti). Un bell’esempio è questo iSeeChange su cambiamento climatico.
3. Co-produzione: qui è usato in un senso più forte del crowdsourcing, ma anche in questo caso non si tratta semplicemente di chiedere un articolo, ma di creare assieme ai lettori un percorso che aiuti le redazioni, i giornalisti, a costruire e modellare l’inchiesta assieme ai lettori. Un bellissimo esempio è Witness.
4. Crowdfunding, non c’è bisogno credo di spiegare cosa sia il crowdfunding applicato al giornalismo (esistono buoni esempi anche qui in Italia). Interessante però che anche il finanziamento dal basso sia pensato anche all’interno di una testata giornalistica come pratica di interazione e dialogo con il lettore (anzi in molti casi questo dovrebbe essere la prima ragione per realizzarlo, non tanto il finanziamento in sé)
5. Inclusione: progetti di giornalismo che si hanno come obiettivo quello di amplificare le voci tradizionalmente lasciate fuori dalla cronaca, con particolare attenzione ai temi dell’eguaglianza e del superamento delle divisioni culturali. Due esempi Embedded Mediamaker (realizzati da Pbs e NYTimes) e Question Bridge (ma ripeto date un’occhiata anche agli altri esempi, ne vale la pena)
6. Interattività: progetti di giornalismo che coinvolgono gli utenti attraverso piattaforme multimediali e “immersive”, come la realtà virtuale, gaming e la narrazione di transmediale. Ottimi esempi LandofOpportunity, sul dopo- Katrina a New Orleans e Sandy Storyline un documentario partecipativo sul dopo uragano Sandy.
7. Mobile Chat: chat e sms come strumenti per i giornalisti di dialogare e mettersi in contatto con le comunità: Ushaidi (conosciuta e utilizzata anche da noi in Italia) e GrounSource come esempi da studiare.
8. Eventi pubblici: non solo strumenti digitali, ovviamente, come sottolineato molte volte ma anche incontri faccia a faccia e capacità di combinare le due cose come in questo reportage Dark Side of the Strawberry.
9. Formazione: creare corsi per momenti formativi può essere un ottimo modo per far conoscere il lavoro che c’è dietro a un reportage ma anche i lavori più di routine che deve realizzare una redazione locale.
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