Cosa Insegna la Chiusura di Popcorn Time

Come probabilmente molti ormai sapranno, chiude Popcorn Time, un caso destinato a restare nella storia dello streaming e della disciplina del copyright online. Probabilmente l’ennesimo martire alla gogna di una scriteriata lotta alla pirateria.

A pochi giorni dal lancio di Netflix in Italia, si chiude su scala internazionale un’esperienza simile, per certi versi antesignana, ma soprattutto indipendente. Nel cimitero dei progetti che hanno fatto la storia dell’ormai consolidato paradigma digitale e sociale della condivisione, di cui sono frutto e promotori i social media, Popcorn si colloca a pieno titolo in buona compagnia di illustri predecessori come Napster e Megaupload, ma anche come i server Razorback usati dalla comunità di eMule [1]. Storie diverse che hanno visto lo stesso epilogo.

Un progetto vincente e un consenso plebiscitario che si conclude con una chiusura per presunzione di illegalità. Troppo facile asserire che si tratti di diffusione illegale di materiale protetto da copyright.

La rete pullula di contenuti di ogni genere, la cui produzione [pensiamo alle attività di “ripping” di film e musica] ha ragione di ritenersi atto di violazione del diritto d’autore. I sistemi di cui sopra sono sistemi, con diverse sfaccettature, di esclusiva distribuzione. Luoghi in cui si incontrano domanda e offerta di utenti che non sono in alcun modo [se non eventualmente a titolo personale] legati a chi procede allo sviluppo di queste piattaforme.

Popcorn è un software che rende possibile (e incredibilmente semplice) fruire direttamente di file torrent in formato audiovisivo a cui è possibile allegare file .srt [sottotitoli] disponibili su siti specializzati. Nessuno di questi prodotti è in alcun modo presente nel sistema di Popcorn, perché in realtà non esiste un “sistema Popcorn”: film e musica e sottotitoli sono memorizzati sui computer di milioni di utenti sparsi per il mondo, tutti condivisi con tutti grazie al protocollo BitTorrentParliamo quindi di un semplice lettore di file e riproduttore audio/video di cui non vanta paternità. Ciò che ne consegue è un sistema molto efficiente dal punto di vista informatico, una sfida tecnologica vinta alla grande da chi se l’era posta inizialmente, ma che si nutre ed esiste per merito della condivisione di utenti consapevoli e responsabili delle proprie attività. Sia chiaro: parliamo di una delle più grandi esperienze di diffusione di materiale che viola il copyright, ma perché ricercare la soluzione all’ultimo livello della filiera?

Le motivazioni che hanno mosso gli sviluppatori iniziali e i termini della vera e propria guerra che si è combattuta in questi due anni di servizio sono tutte nel comunicato pubblicato dagli sviluppatori originali di PopCorn quando, nel 2014, si è registrata la prima battuta d’arresto per il progetto, che, essendo open-source, ha potuto tirare avanti per ancora un altro anno grazie alla partecipazione di altri sviluppatori e parte del team iniziale. Lo spegnimento definitivo del progetto Popcorn pare abbia origine proprio da un ulteriore smembramento del gruppo storico, unito al diniego del provider Gandi.net di trasferire il dominio.

Questi alcuni punti salienti di quanto scrivevano Il 14 Marzo 2013 gli sviluppatori di PopCorn:

Popcorn Time as project is legal. We checked. Four Times.

Tradotto: “Popcorn Time come progetto è legale. Abbiamo controllato. Quattro Volte.”

Our Experiment has put us at the doors of endless debates about piracy and copyright, legal threats and the shady machinery that makes us feel in danger for doing what we love. And that’s not a battle we want a place in.

Tradotto: “Il nostro esperimento ci ha messo di fronte a infiniti dibattiti riguardo pirateria, copyright e minacce legali che ci fanno sentire in pericolo nel fare quello che amiamo. Non è una battaglia in cui vogliamo un posto.”

Piracy is not a people problem. It’s a service problem. A problem created by an industry that portrays innovation as a threat to their antique recipe to collect value. It seems to everyone that they just don’t care. But people do.

Tradotto: “La pirateria non è un problema delle persone. E’ un problema del servizio. Un problema creato da un’industria che vede nell’innovazione una minaccia al suo metodo tradizionale di produrre utili. A tutti sembra semplicemente che a loro non interessi. Ma alle persone interessa.”

Si tratta dell’ennesima (e non certo ultima) contraddizione dovuta allo scontro epico di vecchie regole e leggi che oggi hanno a che fare con la dematerializzazione dei prodotti. Con lo spostamento di una parte rilevante dell’industria mondiale dalla produzione di prodotti (legati a oggetti fisici la cui (ri)produzione materiale ha un costo) a quella di servizi. Popcorn però alza l’asticella della contesa rispetto a esempi precedenti come Napster o Megaupload: grazie ai torrent l’oggetto della contesa, il film il cui copyright e quindi le cui regole di distribuzione vengono violate, non esiste nemmeno più come oggetto (un file), né è più da qualche parte (un server), perché è delocalizzato ovunque, spezzettato in milioni di parti, magari criptate, e memorizzato su supporti privati, è realmente socializzato. Una situazione che taglia qualsiasi possibilità di controllo da chicchessia, industria cinematografica, musicale o organi governativi. A cui rimangono solo due strade: rendere impossibile la vita a chi inventa e implementa questi strumenti e concentrarsi sulla rete fisica (provider e operatori di rete) su cui queste informazioni materialmente passano.

Si chiude un’esperienza avvincente destinata a diventare “letteratura” web, ma la storia non finisce certo qui. Intanto quando [e se] Netflix avrà la giusta popolarità per entrare in tutte le case, qualcuno di noi ricorderà quel simpatico logo a forma di pacchetto di Popcorn a cui probabilmente saranno state dedicate infinite ore di binge watching, gratis.

Il canto del cigno si registra in un tweet del profilo ufficiale @popcorntimetv che saluta, ringrazia e annuncia lo sviluppo di Butter Project, presentato come “il nostro progetto legale” e che vedrà partecipare solo parte di coloro che diedero inizio a questa esperienza, forse gli stessi che non credevano alla liceità dell’esperienza.

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[1] Riferimento a eMule aggiunta in seguito al suggerimento di Mattia Barra.

Pierluigi Vitale

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