Sempre meno diamo per scontato che le informazioni che ci arrivano dalle “fonti ufficiali” siano corrette sia sotto il profilo dell’imparzialità che ancorpiù della veridicità. L’era del “l’ha detto la televisione”, come sinomimo di fattualità oggettiva è sempre meno valida per una quota crescente degli italiani.
Se vengono dunque a mancare i gatekeepers chi stabilisce cosa sia “la verità“? Secondo molti questo obiettivo può essere raggiunto con una maggiore apertura, in termini di coinvolgimento e contribuzione delle persone, di quelli che ci si ostina a chiamare audience, da parte di giornalisti e giornali.
E’ proprio quello che hanno deciso di fare al «Corriere della Sera» che da ieri ha annunciato di voler aprirsi ai contributi dei lettori, dei cittadini, per la verifica dei fatti. Scelta di coraggio ed, appunto, di grande apertura quella della versione online del quotidiano milanese che ha scelto di utilizzare la piattaforma di fact checking realizzata dalla Fondazione Ahref ed attiva da maggio di quest’anno dopo la presentazione al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
Iniziativa che, come spiega, Alessandro Sala, giornalista del Corsera, non sostituisce il dovere dei giornalisti di verificare fonti e fatti prima della pubblicazione [elemento che by the way non mi pare sia entrato nel dibattito-scontro in corso sul DDL diffamazione] ma arrichisce, integra l’informazione rendendola più veritiera anche solo, banalmente, grazie all’inserimento di fonti che propongano la notizia da una prospettiva diversa ed ovviamente mediante controlli incrociati di documenti e fonti non citate originariamente.
[tweet https://twitter.com/lex_sala/status/260754381266366466 align=’center’ lang=’it’]
Online nel mondo ci sono alcuni esempi di piattaforme di fact checking ma tutte, o quasi, con una redazione alle spalle. Civic links invece è la prima che prova a far collaborare la comunità per verificare un fatto. Alla base di tutto stanno i media civici di Ahref, luoghi che stanno emergendo dopo i social network e che provano a aiutare e abilitare i cittadini a fare civismo attraverso la produzione di contenuti fatti con responsabilità.
Attraverso Fact checking, dopo averne giustamente condiviso i principi di legalità, accuratezza, indipendenza e l’imparzialità, che vengono spiegati al momento dell’iscrizione della registrazione alla piattaforma, ogni utente può verificare un fatto contenuto in un articolo, in un video, in una trasmissione tv. Può verificarne l’attendibilità portando delle fonti che aumentino l’attendibilità della sua verifica.
Dietro a tutto questo sta il meccanismo della reputazione. Ogni iscritto ha un profilo e un livello di reputazione, gestita da profondi algoritmi, che aumenta con la produzione di contenuti, di commenti, di verifica, di fact checking.
Per avere ulteriori chiarimenti sulla collaborazione tra «Corriere della Sera» e Fact checking ho contattato Michele Kettmaier, Direttore Generale della Fondazione Ahref.
Il primo dubbio, che ho visto circolare anche su Twitter, è che potesse essere almeno in parte un’operazione che mascherasse collaborazioni senza che vi fosse il giusto riconoscimento economico. Perplessità alla quale Kettmaier mi risponde “qui alla base non c’è business nè per RCS e tantomeno per Ahref che è no profit”
Rimossi dunque possibili pregiudizi il Direttore Generale della Fondazione Ahref mi spiega che la piattaforma non ha un accordo di esclusiva con il quotidiano di Via Solferino e che “la piattaforma è a disposizione e personalizzabile a tutti quelli che desiderano usarla” aggiungendo che “ti dico che un altro paio di quotidiani nazionali oggi ci hanno chiamato per chiederci se potevano averla anche loro, quindi è aperta e disponibile per tutti, nessuna esclusiva per il Corsera”.
Un ulteriore aspetto che mi interessava approfondire era relativo alla possibilità di incentivare, di motivare la partecipazione all’iniziativa. Al riguardo mi si risponde che “per ora non è previsto nessun incentivo ma stiamo lavorando per poter offrire piccoli modelli di startup per giovani che ci vogliono provare” come ad esempio “un ragazzo che vuole metter in piedi una piccola redazione di fact checking può usufruire della piattaforma, personalizzarla con il suo marchio e vendere i fact chek che fa”, proseguendo “tutto da studiare, piccoli modelli di sostenibilità da provare e incentivare, non per diventare ricchi ma sostenibili un po alla volta; io credo di si, che sia giusto almeno provarci”. Se posso dirlo assolutamente anche io.
Al momento della redazione di questo articolo sono due i temi lanciati da Corriere.it ai quali è possibile fornire il proprio contributo di questa importante iniziativa nella quale il giornale pare davvero credere, al punto da metterci la faccia del suo Vicedirettore. Al momento però, purtroppo, i contributi ricevuti sulle proposte sono scarsi, anzi nulli, e sarebbe davvero un peccato se il coraggio e la bontà dell’iniziativa dovessero essere frustrati sul nascere.
A mio avviso è necessario lavorare sulla motivazione [non in termini economici] delle persone incentivandole, spingendole a dare il proprio contributo. A monte, da quello che si ascolta dalle interviste fatte in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia su come verificano l’informazione e le notizie che leggono, è evidente che c’è un diffuso problema culturale.
Ennesima evidenza di come la maggior quantità di informazioni disponibili non corrisponda necessariamente una popolazione maggiormente informata, al quale si aggiunge il fatto che se la Rete disintermedia al tempo stesso spinge su un senso di responsabilità che in prima battuta pochi sono disposti ad accettare. Fattori dei quali è necessario tenere conto da più di un punto di vista per intervenire adeguatamente al rispetto.
[slideshare id=12493178&doc=socialmediafactchechingveneziacamp2012-120410181313-phpapp02]
- Libero è il Quotidiano nel Quale gli Italiani Hanno Minor Fiducia - 14 Giugno 2023
- DigitalMente - 28 Aprile 2023
- Gli Utenti degli OTT in Italia - 26 Aprile 2023
Leggendo questo post mi sono venuti in mente alcuni aspetti – strettamente correlati tra di loro – che possono essere associati all’uso del fact checking: 1) verifica delle fonti (cioè evitare le “notizie bufala”); 2) anti-plagio (cioè evitare che qualcuno copi, senza citare la fonte); 3) credibilità delle fonti.
Per il primo aspetto, sono sostanzialmente d’accordo con l’idea che la gente comune possa contribuire a verificare le fonti e a controllare l’esattezza delle notizie – ferma restando la responsabilità dei giornalisti nel verificarne l’accuratezza e la veridicità. Il controllo delle fonti è e dovrebbe essere una pratica comune e assodata tra i giornalisti, ma tra le persone comuni? Come dicono giustamente Pier Luca e Riccardo Polesel nella presentazione SlideShare qui sopra, il “controllo dei fatti è un arte”, che va affinata con l’esperienza e la professionalità. Dubito che molta gente comune sia disposta a farlo gratuitamente e senza nessun genere di incentivo (viene violato il principio base della Exchange Theory: do ut des).
Per il secondo aspetto, la questione si fa più spinosa, visto che molto spesso accade che si faccia copia-incolla senza poi citare le fonti, passando un documento o un articolo come farina del proprio sacco. Esistono software antiplagio a livello accademico (uno tra tanti: TurnitIn), ma chi si prende la briga di farlo sistematicamente per “tutto quello che c’è la fuori”? I giornalisti, certo! Ma la gente comune?
Sul terzo aspetto non mi dilungo molto, ma è chiaro che alla base della verifica delle fonti da parte di tutti – giornalisti e gente comune – ci sia la questione della credibilità delle fonti (non solo attraverso Internet e i social media, ma in generale). C’è da chiedersi: in base a quali criteri una notizia viene giudicata credibile e in base a quali la fonte viene considerata credibile?
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Sono tra quelli che preferisce siti come politifact che hanno una redazione indipendente dietro che ha le basi, le conoscenze per poter fare realmente fact checking.
Mi chiedo poi come il Corriere della Sera possa pensare di chiedere l’aiuto dei lettori trattandosi di quotidiano naturalmente influenzato dagli equilibri variabili del patto di sindacato di RCS e quindi non disposto ad aprirsi realmente al giudizio della comunità su tutti i temi, mettendosi a fare una comunicazione veramente orizzontale e rispondendo ai commenti dei lettori (premoderati e quindi preconfezionati).
Aggiungo che sarebbe ora di cambiare anche la politica dei link esterni da parte dei quotidiani. Specie nel mio ambito,quello sportivo-calcistico,capita frequentemente che giornalisti dei media nazionali spaccino per proprie ricostruzioni,analisi e anticipazioni,senza citare la fonte che li ha ispirati.
Dovrebbero copiare da siti quali huffington post usa, non il surrogato italiano gestito dalla annunziata che ha copiato solo gli aspetti negativi della creatura della huffington