“Reporter”, iniziativa di giornalismo partecipativo lanciata da «La Repubblica» ha scatenato sin da subito un putiferio.
Non c’è rappresentanza dei giornalisti che non si sia schierata contro l’iniziativa. Il sindacato dei giornalisti [FNSI] contesta duramente l’iniziativa parlando di nuove forme di sfruttamento e rimandando il confronto al prossimo Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia che si annuncia davvero “caldo” anche sotto questo profilo. L’Asr e il Coordinamento lavoro autonomo atipico e precario dell’Associazione Stampa Romana, tra gli altri, insinuano il dubbio che si tratti di un’operazione di marketing da parte della testata, aspetto che comunque non cambia l’orientamento nei confronti dell’iniziativa.
Se complessivamente condivido la posizione espressa sul tema da Luca Conti è leggendo la posizione del cdr di «La Repubblica» che si capisce la natura del problema. Nel comunicato, pubblicato a pagina 25 del giornale di ieri, infatti si legge:
Il Cdr prende atto della rettifica apparsa sul sito concernente gli aspetti retributivi e delle scuse da parte di uno dei responsabili dell’iniziativa. Si augura che l’azienda completi il percorso di revisione critica dell’iniziativa e richiama la stessa alla correttezza nelle relazioni sindacali, evitando in futuro di ripetere il lancio di simili iniziative (come la stessa “Blu” per il pubblico di Facebook) senza la previa informazione al Cdr stesso come previsto dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Si tratta di un passaggio fondamentale poichè evidenzia la carenza di concertazione e l’accostamento con “Blu” altre iniziativa di social media marketing lanciata in questi giorni dal quotidiano. Evidenziando di riflesso come ci sia stata una parte dell’organizzazione aziendale che non si è raccordata, non ha coinvolto, nè informato, pare, altre aree aziendali a cominciare dalla redazione.
Che si tratti di open journalism che impatta sulle relazioni interne da gestire con attenzione in una fase delicata quale quella attuale, o che sia un’operazione di social media marketing, personalmente propendo per la seconda ipotesi viste anche le dinamiche, l’armonizzazione, il coinvolgimento di tutte le diverse anime, i diversi comparti dell’impresa resta fondamentale.
Dimenticarsene, o peggio rimuovere questo aspetto, non può che causare una crisi di comunicazione. Reporter e dintorni ne sono, nella mia interpretazione, l’ennesima conferma.
Update: Da leggere anche la discussione sul tema su Facebook.
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Come dicevo altrove penso che la tua analisi sia molto lucida ma anche molto generosa…verso una questio che va molto aldilà del fatto specifico e che vede due mondi paralleli che vivono benissimo altrove, nel rispetto delle parti, ma che qui in Italia fatica troppo a carburare. In questi giorni leggo giornalisti che prima inneggiavano al citizen dentist difendere le rassegne stampa istituzionali online nonostante il veto normativo, giornaliste 2.0 difendere i diritti (legittimi) del divieto, discussioni sul taglio ai contributi ai giornali e tanta, tanta paura da parte di chi ci lavora… Se davvero l’operazione serve a far finire il tutto nei blog e nelle prime pagine dei giornali (online, sia mai cartacei) ben venga, ma temo che dietro ci sia l’estrema difesa dell’ultimo baluardo da parte di una parte della categoria che sta “perdendo il treno” e che non Sa più da che parte orientarsi… E come al solito, si guarda al dito (che vale 5 euro) e non alla luna. Speriamo che all’#ijf i due mondi si incontrino davvero…e poi, mi permettano quelli del CDR, ambire ad essere come la CNN e la BBC dovrebbe essere sempre motivo d’orgoglio, no? 🙂
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