Il d.lgs. 70/2017 ha abolito i contributi diretti gli organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali. Nonostante questo “Il Secolo d’Italia” continua a percepire tali contributi grazie all’ennesimo escamotage.
Per la precisione il quotidiano ha incassato dal 2004 all’anticipo 2020 circa 28,6 milioni di euro di contributi diretti statali. Di questi quasi il 10% [2,8 milioni] sono stati erogati da quando il giornale, stando alla legge del 2017, non ne avrebbe avuto diritto. Contributi che hanno un trend crescente passando dai 613mila euro del 2017 ai 935mila del 2019, con il 2019. Importo del 2019 che pare essere confermato anche per il 2020 visto che l’anticipo rappresenta il 50% del totale.
Questo è avvenuto nonostante solamente a maggio 2019 sia stato “aggiustato” lo statuto per rispondere alla normativa del 2017. Sul tema Il Fatto Quotidiano ha interpellato il Dipartimento all’Editoria e all’Informazione ottenendo quanto segue, secondo quanto riportato [paywall] dal giornale diretto da Travaglio, come risposta
«Inizialmente avevamo inviato alla società un preavviso di un possibile diniego del contributo proprio perché – come da voi notato – per Statuto Il Secolo d’Italia era organo di movimento politico. Poi ci hanno prodotto alcuni documenti che ci hanno convinto. C’è una lettera del 22 dicembre 2017 del presidente della Fondazione An Giuseppe Valentino all’amministratore Antonio Giordano e al direttore editoriale Italo Bocchino nella quale chiede di evitare che Il Secolo d’Italia sia percepito come organo di partito o movimento politico. Poi c’è una comunicazione all’Agcom nella quale il quotidiano nel 2018 non si definiva più organo di partito. Infine c’è il verbale del Cda della Fondazione Alleanza Nazionale del 30 ottobre 2018 nel quale il presidente informava che Il Secolo si era allineato alle sue indicazioni e coerentemente era necessario adeguare lo Statuto. Cosa poi avvenuta a maggio 2019». Tanto basta al Dipartimento Editoria per ritenere che Il Secolo d’Italia non sia più un organo di movimento politico già dal 2018.
È l’ennesima stortura di una legge che fa acqua da tutte le parti e che, come abbiamo evidenziato più e più volte, consente a numerose “finte cooperative” di giornalisti di accedere ai contributi statali nonostante la legge del 2017, oltre ad abolire il finanziamento agli organi di partito, espliciti chiaramente che sono esclusi dai contributi «tutte le imprese editrici di quotidiani e periodici facenti capo a gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate in mercati regolamentati». Come è invece il caso, tra gli altri, di Libero e di ItaliaOggi.
La difesa del pluralismo e della libertà di informazione sono di per se stessi principi condivisibili. È la loro applicazione che non funziona, tanto che la maggioranza degli italiani non vuole i finanziamenti all’editoria. Quando si cesserà di nascondersi dietro alla demagogia di una vaga e vacua difesa della democrazia grazie a tali contributi, e finalmente si metterà mano alla revisione della legge, promulgata di anno in anno, sarà sempre troppo tardi.
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