“DigitalMente”, rubrica settimanale che ogni venerdì prova a fornire spunti e appunti su digitale e dintorni, per riflettere a tutto campo su innovazione e digitale. Oggi abbiamo scelto di parlare del NYTimes.
Il quotidiano d’oltreoceano ha presentato ieri i risultati relativi al quarto trimestre 2020. I motivi d’interesse emergenti dai dati forniti sono più di uno.
Commentando i risultati il suo amministratore delegato, Meredith Kopit Levien, ha affermato che «In 2020, we reached two key milestones, both of which we expect to be enduring: digital revenue overtook print for the first time, and digital subscription revenue, long our fastest growing revenue stream, is also now our largest». Affermazione naturalmente assolutamente veritiera dietro alla quale però si nascondono elementi da approfondire.
Il NYTimes ha chiuso il 2020 con più di 7.5 milioni di abbonati. Di questi 6.690.000 sono digitali, dei quali gli abbonati al prodotto informativo, al giornale nel sua versione digitale/online sono 5.090.000, ai quali si aggiungono 1.600.000 di abbonati a Cooking, Games e Audio. Complessivamente gli abbonamenti ai prodotti digitali del quotidiano crescono del 52.2%. 883.000 invece quelli del prodotto tradizionale cartaceo. In calo del 2.7% rispetto agli 856.000 del 2019.
L’infografica sottostante fornisce la progressione da fine 2011 alla fine del 2020 degli abbonamenti digitali totali, così come sopra specificati.
Se questi sono numeri straordinari, che fanno del NYtimes il quotidiano con il maggior numero di abbonati al mondo, l’analisi dei ricavi mostra l’altro lato della medaglia.
Il totale dei ricavi a fine 2020 è in calo del 1.6% rispetto al 2019. Dei 1.783,6 milioni di dollari di ricavi nel 2020 1.195,3 sono ricavi diffusionali [+10.3% vs 2019], 392,4 sono da advertising [- 26.1%] e 195,8 sono altri ricavi [- 0.9%].
L’infografica sotto riportata fornisce il dettaglio dei ricavi del 2020 e il confronto con l’anno precedente, consentendo di comprendere la situazione a colpo d’occhio. Al riguardo va segnalato che i profitti passano dai 139,9 milioni di dollari del 2019 ai 100,1 del 2020. Un calo del 28.5%.
I ricavi pubblicitari si ripartiscono così: digital/online 228,5 milioni di dollari [- 12.2%], cartaceo 163,8 milioni di dollari [- 39.4%]. I ricavi diffusionali sono invece così suddivisi: digital/online 598,3 milioni di dollari [+29.9%] e 597,1 dal cartaceo [- 4.2%].
Per quanto riguarda dunque i ricavi diffusionali, visto che tutto il mondo degli editori di giornali guarda alla “grey lady” come un faro, come, proporzionalmente, il punto di arrivo di un futuro che naturalmente si spera non sia troppo lontano, il rapporto di copie è di circa 10:1 a favore del digitale/online, mentre quello dei ricavi è quasi paritario.
Insomma, neppure per il grande NYTimes sono tempi facili. Lo sbilanciamento dei prezzi di vendita del prodotto digitale/online, spesso offerto a tariffe promozionali, rende il prodotto cartaceo ancora centrale per gli equilibri economici del giornale.
Al riguardo il CEO della NYTimes Company ha detto che: «The last ten years were about proving our strategy of journalism worth paying for; the next ten will be about scaling that idea […] With a billion people reading digital news, and an expected 100 million willing to pay for it in English, it’s not hard to imagine that, over time, The Times’s subscriber base could be substantially larger than where we are today».
Dunque, tra le righe, si dice che l’obiettivo dichiarato di raggiungere dieci milioni di abbonati entro il 2025 potrebbe, e soprattutto deve, essere superato, per far quadrare i conti. È chiaro che si tratta di un modello di business molto difficilmente replicabile da qualunque quotidiano del nostro Paese.
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