Hanno avuto un ampio eco mediatico le dichiarazioni rilasciate da John Elkann, presidente Gedi, all’inaugurazione del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino, anche perchè naturalmente i quotidiani del suo Gruppo hanno rilanciato in pompa magna.
Ci sono, almeno, due aspetti d’interesse relativamente a quanto viene riportato delle dichiarazioni del Presidente di Gruppo editoriale.
Il presidente di Gedi parte da un dato: il 2020 si chiuderà con un raddoppio degli abbonati digitali alle testate del gruppo, da 110mila a 220 mila.
Come scrive “Il Post” nella sua newsletter di ieri, «Tutti i quotidiani – per via di un investimento maggiore in quella direzione, di cospicui sconti e promozioni, e dello spostamento generale dei consumi sul digitale – hanno comunicato rilevanti aumenti degli abbonamenti digitali. RCS ne dichiara 280 mila, GEDI 220 mila [ricordiamo che i numeri degli abbonamenti sono misure molto sfuggenti e senza una sanzione terza affidabile]».
E infatti, come scrivevamo, altrettanto non più tardi di ieri, nella nostra newsletter, stando ai dati ADS le copie digitali vendute a Settembre 2020 di Repubblica, Stampa e Secolo XIX sono 45.777. Ne mancano dunque più di 150 mila di abbonamenti digitali.
La risposta [kind of] arriva da Alessio Balbi, responsabile del digitale a Repubblica, che, con vena polemica, ci scrive su Twitter che «Le copie ADS sono una cosa precisa, legata alla replica del giornale di carta. Tutto il resto [abbonamenti per leggere articoli solo digitali, podcast, newsletter], a qualunque prezzo, non viene conteggiato».
Naturalmente la sostanza sta proprio in quel «a qualunque prezzo», poichè se si conteggiano gli abbonamenti all’edizione online, il più delle volte ad un euro al mese, come dicevamo da bambini giocando al pallone, vale tutto.
In attesa della trimestrale del gruppo Gedi, sperando sia sufficientemente trasparente nei numeri forniti, il valore di tali abbonamenti si può facilmente dedurre da due elementi almeno. Da un lato dai ricavi diffusionali di RCS Mediagroup, che appunto ne dichiara 285 mila a fine Settembre, mentre a Maggio 2020 ne dichiarava 300 mila. Dall’altro lato dai dati, di consuntivo 2015 – 2019 e previsionali 2020 – 2024, sempre relativi ai ricavi diffusionali dei quotidiani del nostro Paese, contenuti nel rapporto di PWC “Entertainment & Media Outlook in Italy 2020-2024”. Dati che parlano molto chiaro sul valore effettivo degli abbonamenti online, e sulle possibilità concrete che divengano fonte di ricavo significative, che riportiamo nuovamente per facilità di lettura.
Chiarito, crediamo proprio di poter dire, questo aspetto, l’atro tema che emerge con forza dalle dichiarazioni di Elkann e che a suo avviso bisogna seguire il «Modello Netflix per la distribuzione». Infatti il presidente di Gedi spiega che a suo avviso «Noi, nel ventunesimo secolo, dobbiamo impegnarci a dare ai nostri lettori un’esperienza simile a quella che si aspettano da società del ventunesimo secolo come Amazon, Spotify o Netflix. Quelli sono modelli a cui dobbiamo aspirare per la distribuzione dei contenuti digitali e l’attenzione nei confronti degli utenti».
Modello “all you can eat” che a nostro avviso potrebbe avere un senso soprattutto se questo fosse applicato di comune accordo dai principali editori di quotidiani del nostro Paese.
Creare alleanze può costituire, per i publisher, un modo di contrastare l’appeal pubblicitario di Facebook & Co. Ma perché progetti di questo tipo portino i risultati sperati, è necessario che i partecipanti abbiano determinate caratteristiche. Ecco quali:
1) Scalabilità – «Perché una coalizione abbia successo e sia competitiva, deve avere poter offrire una reach significativa – spiegava già tempo fa Barnes -, diciamo oltre il 60% della popolazione online, perché è questo che Google e Facebook mettono a disposizione degli inserzionisti»;
2) Brand safety – «le alleanze hanno bisogno di includere siti rispettati e autorevoli su cui gli inserzionisti puntano ad essere presenti. Un’alleanza tra una moltitudine di property di medio livello con una non alta brand quality non è molto diversa da un normale ad network»;
3) Approcci “efficienti” – «Coalizione significa più efficienza, sia lato editori che lato inserzionisti»;
4) E “qualcosa in più” – Fornire qualcosa di aggiuntivo alle inventory che vendono, come nuovi segmenti di audience, un accesso first-look, trasparenza a livello di domini, o formati pubblicitari unici.
Peccato che, come dimostra il pietoso caso di “Edicola Italiana”, non pare essere possibile, ed anche in Francia e Spagna i tentativi effettuati in tal senso, che però, come nel nostro Paese, vendevano l’abbonamento al singolo quotidiano e non un pacchetto completo.
In tutto questo c’è anche un lato divertente, per così dire, della questione. Infatti, il tanto vituperato Crimi, all’epoca in cui è stato Sottosegretario all’Informazione e Editoria, aveva lanciato una “sfida” agli editori: quella di dare vita a una nuova piattaforma digitale «in cui il lettore, allo stesso costo di un abbonamento digitale ad una sola testata, può leggere tutti i giornali»: una sorta di Netflix dell’editoria, insomma, in cui gli utenti possano ottenere l’accesso ai giornali attraverso il pagamento di un canone mensile.
Concetto che poi aveva rilanciato anche di recente, a Giugno, durante un incontro promosso da USPI [Unione Stampa Periodica Italiana], in cui ribadiva che «Sarebbe utile un Netflix dei giornali, per migliorare l’accessibilità del lettore a un’informazione plurale. Ovvero si paga l’abbonamento una volta e poi si può scegliere fra tante testate».
Idee, proposte, naturalmente prese con sufficienza, a prescindere, per partito preso [letteralmente] come ha dimostrato il boicottaggio sistematico degli Stati Generali dell’Editoria, che ora che vengono invece dalla voce di Elkann sono meritevoli di attenzione.
Voce che, per inciso, con le edicole considerate “servizio essenziale” e dunque aperte sia durante il lockdown di questa primavera che nelle “zone rosse e arancioni attualmente”, nonostante vendite in netto calo, e lettori altrettanto a picco, ha dichiarato anche che «Quello delle edicole e degli abbonamenti è un modello nemmeno dal ventesimo, ma del diciannovesimo secolo», mentre invece quello che è ottocentesco è il sistema della filiera editoriale, di cui gli editori sono “channel leader”.
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