Ha avuto ampia risonanza l’uscita del nuovo quotidiano diretto da Stefano Feltri: “Domani”. Non poteva essere altrimenti poiché nel decennio più buio per i giornali il lancio di una nuova testata è davvero una notizia. Notizia che per principio non possiamo che accogliere favorevolmente visto che quando si aggiunge una voce nuova qualificata l’informazione e il pluralismo non possono che beneficiarne.
Del giornale in edicola e online da ieri, abbiamo apprezzato particolarmente la fase di pre-lancio che è stata gestita con intelligenza per circa tre mesi dando degli “assaggi”, attraverso la newsletter gratuita, dello stile giornalistico e dell’orientamento editoriale del quotidiano. E ancorpiù abbiamo apprezzato l’apertura con “riunioni di redazione” periodiche durante tutta questa fase di lancio, la raccolta di proposte di inchiesta, ed il confronto al riguardo.
Come abbiamo scritto ieri a caldo ci è piaciuta la grafica del giornale. Pulita, essenziale e chiara, con focus su un solo argomento la prima pagina. Nell’epoca dell’infobesità un sospiro di sollievo dall’acozzaglia di contenuti e dalla confusione che questi generano. Prima pagina che ci è stato confermato che sarà sempre così. Non sarà un insieme di richiami ma un vero articolo, focus principale della giornata, con un inizio e una fine.
Bello anche il formato “Broadsheet”, a metà strada tra il “lenzuolo” a sette colonne de Il Sole24Ore, e il più diffuso formato tabloid della maggior parte dei quotidiani in circolazione. Conferisce importanza al giornale, e fornisce il giusto spazio per dare respiro ai contenuti e alla grafica senza perdere in manegevolezza.
Il giornale nella sua versione cartacea sarà chiuso sempre prima dell’ora di cena a conferma di un approccio che, giustamente. non fa della riconcorsa, comunque impossibile, all’ultima notizia, ma della chiarezza espositiva e dell’approccio indipendente i propri punti di forza. Scelta che condividiamo, così come condividiamo la foliazione di venti pagine. Non troppo essenziale come quella de Il Foglio e/o de Il Manifesto, ma neanche ridondante come lo sono spesso i quotidiani da cinquanta/sessanta pagine, che nessuno legge integralmente.
La redazione è “digital first”. Lo stesso gruppo di giornalisti, quindici in tutto, produce contenuti editoriali che poi vengono declinati nei vari formati. Digital first anche negli obiettivi visto che recentemente De Benedetti ha affermato che il successo, o meno, del quotidiano si misura sugli abbonamenti digitali non dalle copie in edicola, fissando il traguardo in tal senso a 30 mila abbonamenti.
Peccato che poi “l’ingegnere” si lasci andare a dichiarazioni trionfalistiche affermando che sono state vendute ottantamila copie, su duecentomila distribuite, nel suo primo giorno, ieri. Dichiarazioni che si basano su stime possibili grazie ad un campione di edicole informatizzate alle quali è stato chiesto di scaricare le vendite in tempo reale, secondo le informazioni che siamo riusciti a reperire al riguardo, e che dunque sono suscettibili di variazioni anche non trascurabili. Un po’ come avviene per gli exit poll.
Infatti dal nostro personalissimo osservatorio, basato sulla collaborazione all’interno di gruppi di edicolanti su Facebook che contano circa tremila membri [che non possiamo linkare visto che si tratta di gruppi “chiusi”], le vendite sono state a macchia di leopardo, con edicole che non hanno venduto neppure una copia e altre che invece sono andate in rottura di stock. Se dovessimo fare una media potremmo stimare le vendite effettive tra il 20 e il 25% delle copie distribuite, ovvero attorno alla metà di quelle dichiarate da De Benedetti.
Lo screenshot di alcuni dei dati che ci sono stati cortesemente forniti dai giornalai fornisce non solo questi ma è anche la conferma dell’insostenibile leggerezza, per così dire, della filiera editoriale. Disefficienza della filiera che potrebbe rappresentare un vero e proprio tallone d’achille per gli equilibri economici del giornale, che a regime punta a vendere tra le trenta e le quarantamila copie, distribuendone ottantamila.
In una recente intervista Stefano Feltri ha dichiarato che « sarà un giornale online e poi di carta». Digital first come dicevamo. Specificando che «La gente deve trovare sempre una ragione per venire su Domani e l’idea è offrirle un menù gratuito che non cannibalizzi il lavoro giornalistico vero e proprio, e poi un’altra versione, veloce ma sostenibile […] Ogni articolo avrà due versioni. Una organizzata per punti, con tre bullet point, più o meno la quantità di testo che sta nello schermo di uno smartphone. Chi ha poco tempo o non è abbonato può farsi un’idea in pochissimi secondi. Se poi il lettore è interessato, si può abbonare e leggere gli articoli integrali».
Se questo è il punto di partenza crediamo che ci sia parecchio da lavorare. Non abbiamo testato l’app ma abbiamo guardato con attenzione il sito sia da desktop che da smartphone e tablet. Ci piace che l’home page sia nettamente più corta rispetto al “celolunghismo” della maggior parte dei siti di news italiani. E ci auguriamo vivamente che la scelta rimanga tale anche al crescere dei contenuti prodotti. Però l’esperienza di lettura da smartphone e tablet [abbiamo usato un iPad e un iPhone] ci pare ampiamente migliorabile. In particolare se, da smartphone e/o tablet si accede alla sezione che contiene l’edizione digitale del quotidiano, riservata agli abbonati, è difficile uscirne. Fastidioso.
Inoltre se il giornale è la sua comunità. E la scelta, che condividiamo e apprezziamo, di un giornalismo “open”, non può che rinforzare questo concetto. Al di là delle dirette, delle “riunioni di redazione” con i lettori abbonati, ci pare ci sia parecchio da lavorare in tal senso.
C’è allo stato attuale uno forte sbilanciamento rispetto all’attenzione su Twitter, testimoniata anche dalle numerose conversazioni sulla piattaforma di microblogging, ed al relativo numero di follower, rispetto invece a Facebook e Instagram. Ci pare che lo sbilanciamento verso Twitter non sia solo quantitativo, in termini di fan/follower, ma a che a livello di interazioni e qualità delle stesse.
Stando ai dati di CrowdTangle, al quale Facebook da qualche mese ci ha dato accesso [GRAZIE!] riconoscendoci il nostro ruolo, anche, di ente di ricerca, il tasso di interazione su Facebook è del 0.75%. Inoltre, la media degli ultimi trenta giorni è di soli 2.83 post/die. Se apprezziamo che, finalmente, non si consideri il social più popoloso del pianeta solo come una discarica di link da cui dragare traffico, non bisogna neppure eccedere nell’altro senso.
Se certamente non è necessario, anzi, attestarsi ai 106.8 post/die di Repubblica o ai 148 del Fatto Quotidiano, altrettanto bisogna alzare numero di post e, soprattutto fare community management per far crescere quantitativamente e qualitativamente la comunità di lettori. Lavoro che nei tre mesi di pre-lancio non è stato fatto concentrandosi più sulla newsletter e sui contenuti, che sono la base ma non sono assolutamente sufficienti, come alle soglie del 2021 si dovrebbe ben sapere, uscendo anche dalla pagina come la virtuosa esperienza degli studenti della Missouri School of Journalism conferma, o insegna [a seconda dei punti di vista].
Infine, più in generale, se fossimo nello staff di Domani faremmo attenzione all’associazione troppo stretta con De Benedetti che a nostro avviso può portare più problemi che benefici. Ad esempio, è singolare, diciamo, che a presentare in televisione il nuovo giornale la sera dell’uscita sia andato l’editore al posto del direttore. E infatti le reazioni non si sono fatte attendere. È vero che, come si suol dire, chi ma dà da mangiare lo chiamo papà. ma meglio farlo in privato.
Naturalmente i migliori auguri e un grande in bocca al lupo a Stefano Feltri e a tutta la redazione. Le idee di base sono buone c’è ancora da lavorare sull’esecuzione di queste e sui dettagli.
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