“DigitalMente”, rubrica settimanale che ogni Venerdì prova a fornire spunti e appunti su digitale e dintorni per riflettere a tutto campo su innovazione e digitale. Oggi abbiamo scelto di parlare di dati, informazioni, sui social e rappresentazione di questi da parte delle testate giornalistiche del nostro Paese.
Che i legacy media siano sempre più subalterni nell’agenda setting rispetto ai social è un dato di fatto che abbiamo dimostrato, dati alla mano come d’abitudine, proprio all’inizio di questo mese. In questa rincorsa molte delle storie raccontate, chiamarle notizie sarebbe eccessivo, riprendono alcuni fenomeni facendone degli articoli “acchiappa clic”.
Titoli quali «Il popolo della Rete dice che…», o «È diventato virale sui social…» sono sui siti web dei giornali ormai quotidianamente. Si tratta perlopiù di interpretazioni errate di quanto nei trending topic di Twitter che, per ignoranza, definiscono qualche manciata di tweet come un fenomeno «esplosivo», «dirompente», o addirittura «virale», come abbiamo avuto modo di documentare.
A questo si aggiunge quello che è vero e proprio cherry-picking nel quale, così come avviene quando durante un telegiornale si mandano in onda tre, massimo quattro, persone facendolo passare per un’indagine giornalistica che rappresenta l’opinione degli italiani, vengono selezionati alcuni tweet e, appunto, si costruisce una narrazione partendo da questi.
È il caso, ad esempio, per stare ai fatti più recenti, di un articolo dove si vuol far passare il messaggio che le persone siano stufe di Facebook, e di Instagram, pescando ad hoc le poche verbalizzazioni che confermano la tesi predefinita. Tesi peregrina che naturalmente non viene sostenuta da alcun dato, quando sotto il profilo giornalistico, se non si fosse guidati solo dal furore, pour cause, contro Facebook, sarebbe decisamente più interessante dire al lettore, alle persone, quale l’impatto economico di #FacebookDown e #InstagramDown.
Il più recente di questi episodi risale ad un paio di giorni fa con il titolo ad effetto «#iostoconSaviano, il grido social per la libertà di espressione», in cui la tesi che si sostiene e che «le parole lanciate da Roberto Saviano su Repubblica non hanno lasciato la Rete indifferente. In decine hanno risposto attraverso l’hashtag #iostoconSaviano, schierandosi dalla parte dello scrittore».
Naturalmente non interessa entrare nel merito della disputa tra Saviano e Salvini, almeno certamente non in questi spazi. Quello che ci preme è entrare invece sui criteri giornalistici che portano a scrivere un articolo che è evidentemente privo di ogni senso a cominciare dal fatto che chiunque dotato di buon senso si interrogherebbe sul valore di «decine hanno risposto attraverso l’hashtag», che appare approssimativo, e non rappresentativo della realtà, leggendolo anche solamente una prima volta. Se a questo aggiungiamo che i 4 [quattro] tweet che dovrebbero sostenere l’evidenza del «il grido social per la libertà di espressione» sono: uno di Saviano stesso, uno del Direttore del giornale sul quale viene pubblicato l’articolo, uno di Zingaretti, e l’ultimo di un tizio, che sarà sicuramente un’ottima persona ma avendo solamente 28 follower non avrà certamente avuto un grande impatto, diciamo.
Il grido social, così come viene tristemente definito, in realtà, dalla nostra analisi, è fatto da poco più di 11mila citazioni dell’hahshtag #iostoconSaviano, i cui contenuti hanno coinvolto [like + condivisioni + commenti] circa 44mila persone. Numeri che dicono come, piaccia o non piaccia, non si è trattato certamente di una sollevazione popolare a favore dello scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano. Decisamente meno delle citazioni per i fatti di San Donato, o, tanto meno, di Ronaldo, per avere dei termini di paragone.
Si tratta di approssimazioni giornalistiche che evidenziano cattive pratiche in termini, appunto, di cherry-picking, per selezionare le sole prove a sostegno della propria tesi, ma anche uno stato generale di assoluta ignoranza, nel senso proprio del termine, rispetto alla Rete e ai social.
Elementi che naturalmente agli occhi dei “news-lovers”, agli occhi di quella ristretta fascia di persone, che contano, che hanno a cuore l’informazione, e che hanno gli strumenti per giudicare, non fanno che ulteriormente screditare quel giornalista/testata giornalistica peggiorando, se possibile, una situazione di per se stessa complicata sotto il profilo della fiducia che le persone ripongono nei media.
Sul tema, su come estrarre dati dai social e rappresentarli, il sottoscritto terrà un workshop nel corso del Festival Internazionale del Giornalismo il 7 Aprile prossimo venturo. Un laboratorio nel quale i partecipanti potranno imparare praticamente come estrarre dati e/o informazioni al fine di creare contenuti giornalistici [e smetterla con articoli tipo “Il popolo della Rete dice che…”, e varianti sul tema, come abbiamo visto], e come visualizzare i dati, pur senza avere capacità di programmazione. Pare ce ne sia un grande bisogno…
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