Dallo “scandalo” di Cambridge Analytica in poi, nella narrazione fatta dai media, i social sono sempre più brutti, sporchi e cattivi, per dirla in una battuta.
Ma quanto parlano dei social, e in riferimento a quali argomenti, i media nostrani? Per scoprirlo abbiamo analizzato le citazioni online del termine “social” da parte di giornali, portali d’informazione, TV, radio, magazine, e agenzia stampa negli ultimi dodici mesi [dal 05/03/2018 al 04/03/2019].
Ebbene, i risultati sono davvero sbalorditivi. Dalla nostra analisi [*] i media italiani, così come sopra definiti, hanno citato i social nei loro articoli, al netto dell’amplificazione generata dalla condivisioni, come vedremo, ben 874mia volte. Per avere un termine di paragone basti pensare che nello stesso arco temporale i media del nostro Paese hanno citato Regeni circa 17mila volte, o, per stare ad un argomento “caldo” di questi giorni, la TAV poco più di 99mila volte.
Una massa di contenuti davvero importante che ha coinvolto [like / condivisioni / commenti], al lordo delle duplicazioni, 66.4 milioni di persone, per una reach potenziale, una “opportunity to be seeen” di 3.4 triliardi di impression, stimabili ragionevolmente in oltre 102 miliardi di impression generate dai media italiani al riguardo.
Se abbiamo già avuto modo di analizzare l’amplificazione mediatica che questo genera con il caso del matrimonio dei “Ferragnez” da un lato, e di Salvini dall’altro, entrando nel dettaglio si vede come ormai per i media del nostro Paese i social siano, nella sostanza, un’ossessione.
Non è solo questione degli imponenti numeri che abbiamo visto, ma di approccio. Di fatto i social sono divenuti progressivamente nel tempo sempre più elemento di “notiziabilità”, vera o presunta che sia. Così che, di fatto, ciò che una volta veniva definito agenda setting non viene più dai media tradizionali ma proprio dai social.
A titolo esemplificativo basti vedere i tre articoli che citano i social che maggior engagement hanno generato. Il primo è un articolo di HuffPost Italia del Ottobre 2018 che racconta di uno scatto divenuto “virale” sui social. Articolo condiviso a sua volta oltre 365mila volte su Facebook, generando una reach potenziale di 3.8 milioni, che come sottoprodotto, diciamo, ci conferma che nell’ansia da click i media hanno ormai perso, almeno, una delle “mitiche 5W del giornalismo”, il “Where”, il dove avviene il fatto narrato [chiamarla notizia sarebbe un eccesso].
Gli altri due articoli sono di Repubblica. Anche in questo caso di tratta di uno scatto che viene definito [sigh!] “virale” e che racconta de «l’amore per sempre ai tempi di Facebook». Articolo, del Luglio 2018, che genera poco meno di 31omila condivisioni solo su Facebook, e una reach potenziale di 1.2 milioni. Mentre l’altro, del Dicembre 2018, coinvolge una giornalista di Rai News 24 che ha raccontato su Facebook un increscioso episodio di intolleranza. Articolo, in questo caso, a sua volta condiviso oltre 182mila volte su Facebook, e una reach potenziale di 1.3 milioni, come mostra l’immagine sottostante.
Al centro della “narrazione”, chiamarlo giornalismo sarebbe un’offesa per coloro che lo fanno davvero, al di là dei casi di colore, naturalmente sono celebrities e politici. Si va dalla politica internazionale, con Putin e Trump, a quella nostrana, con Salvini e Di Maio in prima fila, passando per sportivi e personaggi dello spettacolo.
Insomma, i giornalisti sono sempre più dipendenti dai social, da tempo, e, di riflesso, i giornali sono sempre più al traino di quanto viene scritto, o detto, sulle diverse piattaforme social.
Non è una buona notizia per la qualità del giornalismo. Lo spiega bene il discorso che il fondatore e il presidente di Data & Society, hanno tenuto alla conferenza di Online News Association ad Austin, in Texas, nel Settembre 2018, quando afferma che «Ora più che mai abbiamo bisogno di una stampa guidata da ideali determinati ad amplificare ciò che è più importante per consentire una cittadinanza informata. Non quello che otterrà clic o placherà gli hedge fund. Abbiamo bisogno di voci che siano dei sostenitori delle informazioni, determinati a spiegare questioni complesse al pubblico». Concludendo con un’esortazione ai suoi colleghi, agli altri giornalisti: «Concentrati sulle reti : aiuta a connettere le persone alle informazioni. Costruisci reti tra le informazioni e tra le persone».
Vale al di là dell’oceano, ma anche assolutamente per quanto riguarda la nostra realtà nazionale. Potrebbe, o meglio dovrebbe, essere uno dei punti da cui [ri]partire, se non si vuole essere subalterni, oltre che economicamente anche in termini di capacità di influenza, alle piattaforme social.
[*] La fonte dei dati elaborati per l’analisi effettuata è Talkwalker con cui DataMediaHub ha una partnership per l’ascolto della Rete. Questa e le molte altre analisi prodotte sono, anche, delle “demo” della parte di social media listening/monitoring che potremmo fare per il vostro brand, la vostra organizzazione. Se d’interesse contattateci attraverso l’apposito modulo. Grazie.
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