1.
La “conversazione” generata dal discorso di fine anno [2018] del Presidente della Repubblica è stata oggetto, nelle ore e nei giorni successivi, di molti commenti e di alcune apprezzabili analisi tecniche. Qui si rivolge l’attenzione a ciò che è accaduto su Twitter, provando a dare voce, e senso, al dato.
Un’avvertenza: questa nota si dipana a partire da un carotaggio, ha carattere prettamente divulgativo, e non si dota dunque di alcuna pretesa di esaustività. Vi è solo il tentativo, in corpore vili, di adombrare [altro non si può nel poco spazio che ci concediamo per non abusare dell’attenzione del lettore] le possibilità analitiche offerte dall’uso in concorso di frame analysis e audience intelligence. Qui l’analisi si è prodotta ex post, ma la stessa procedura può essere adottata per fenomeni comunicativi da indagare ex ante e, o, in itinere.
In questo caso, l’oggetto è la comunicazione politica. Della distinzione tra comunicazione politica e comunicazione istituzionale ha ben detto, su questo sito, Pier Luca Santoro. L’approccio che qui si adotta si vuole complementare con quanto da lui scritto nel suo articolo. Complementare, in quanto ai fini dell’analisi non si ritiene utile considerare comunicazione politica e comunicazione istituzionale come due generi, ma bensì come due modalità enunciative, trasversali, ed eccedenti, dunque, alle manifestazioni [realizzazioni se si vuole] discorsive. In questo caso, l’effettiva architettura testuale osservata nel discorso del Presidente, e nella conversazione che ha attivato, fa propendere, come si diceva, per l’attribuzione politica e non istituzionale.
Il dato [linguistico nell’accezione più larga] manifesta il comportamento segnico degli agenti. Questo dato ha forma testuale. Ed è nel testo, come diceva il Tale, che si incontrano mittenti e destinatari dei messaggi. In questa prospettiva, essi sono funzione del testo; è lì che si formano, e possono essere osservate, le loro personalità semiotiche e i frame cognitivi ed emotivi che le strutturano.
In questi termini, dare voce al dato equivale, anche, a indagare la sua struttura formale per comprendere in che modo questa può determinare, o orientare, l’interpretazione dei “lettori”.
Ultimo punto. Nell’orizzonte sul quale queste poche righe si collocano, le realizzazioni testuali vengono analizzate, in maniera sperimentale, in quanto sistema di riferimento autonomo, e non come rappresentazioni. I testi, in questo senso, non sono mezzi che rinviano a esperienze mondane, ma esperienze essi stessi. Esperienze strutturate che si offrono all’interpretazione dei “pubblici”. È un modo questo, ci pare, di sfuggire a ipotesi impressionistiche sul “voler dire” dei messaggi [e, come si diceva, sulle “identità” dei relativi mittenti e destinatari], e di stringersi, in queste perigliose peripezie, all’esile forse ma compatta sola analisi formale del dato.
2.
Iniziamo con il sondare il discorso del Presidente in un’ottica comparativa.
Se si sta alle trascrizioni, nel 2017 il discorso contava 1.082 word tokens e 78 “enunciati”. L’enunciato più lungo era costituito da 36 “parole”, quello più breve da 3. La lunghezza media dell’enunciato era pari a circa 14 “parole”.
“Di” il primo termine grammaticale in ordine di frequenza; sarà lo stesso nel 2018, ma con distribuzione distinta e, di conseguenza, distinta funzione. Sono “dovere” e “difficoltà” le parole piene più frequenti.
1.715, invece, sono le word tokens computate nel discorso del 2018. Più lungo dunque. Una conferma, sempre se si sta alla trascrizione, si ha con il numero di “enunciati”, 114. L’enunciato più lungo conta 52 “parole”, quello più breve 2. La lunghezza media dell’enunciato, in questo caso, supera le 15 “parole”.
Il dato, con la LME del 2018 superiore a quella del 2017, porterebbe a respingere le ipotesi su una maggiore adattabilità della testura del discorso del 2018 alle esigenze di Twitter. Non sembrerebbe quello il livello su cui si è prodotto il “successo” del discorso del Presidente.
Anche nel 2018, come si diceva, è “di” la parola grammaticale più frequente, primato condiviso con “e”, mentre è “sicurezza” la prima in ordine di frequenza tra quelle piene.
Va fatto un cenno, l’ultimo, a un fenomeno che può valere come indizio per determinare la differenza tra modalità “politica” e modalità “istituzionale”: le occorrenze delle forme verbali di quarta persona. Se, per esempio, si estrae un piccolo campione costituito dalle forme in *iamo, si ottengono 10 occorrenze, su 555 forme uniche, nella trascrizione del discorso del 2017, lo stesso numero che si riscontra nel discorso del 2018, ma su 771 forme uniche e con la prevalenza netta dalla forma “dobbiamo”, che occorre 6 volte. In quello del 2017, invece, le prime due forme in ordine di frequenza sono “abbiamo”, 3 occorrenze, e “possiamo”, 2.
3.
Diamo ora una scorsa al “comportamento” dell’account del Quirinale, ancora in ottica comparata.
I tweet prodotti dall’account il 31/12/2018 sono 54, mentre il 31/12/2017 erano stati 25, meno della metà. Un dato rilevante, che già si offre all’interpretazione sul tipo di agire comunicativo dell’account (ndr: facciamo sempre riferimento, in linea con le premesse metodologiche abbozzate al punto 1, all’intenzionalità dell’evento comunicativo e non alle intenzioni dei soggetti “reali”).
Nel corpus-2018 [i 54 tweet], il tweet che produce più risposte ne totalizza 992. Lo stesso tweet è anche il primo in ordine di retweet e favorite generati, rispettivamente 5.714 e 18.306. Il totale dei favorite computati è 121.367, il totale dei retweet è 32.687, il totale delle risposte 3.692. Nel 2017 il tweet che raccoglieva più risposte ne vedeva 61 [su un totale di 411], quello con più retweet [sui “ragazzi del ’99”] ne generava 391 [su un totale di 2.994], quello con più favoriti [lo stesso] ne generava 719 [su un totale di 5.806]. Un’altra dimensione.
Dopo #Mattarella, “costituzione” è l’hashtag più frequente nel corpus-2017, mentre nel corpus-2018, sempre dopo #Mattarella, appare #sicurezza [dato che reduplica quanto osservato in chiusura del punto 2 e dà alcune informazioni di corredo sul frame che ha strutturato le repliche].
Il sotto-corpus costituto dalle 992 repliche a quel tweet del 2018 citato, vedono #mattarella [primo di gran lunga] e #facciamorete come primi due hashtag in ordine di frequenza.
“Presidente” è la prima parola piena, e “grazie” è il suo primo collocato. La doxa egemone è ben evidente.
Dell’hashtag #facciamorete si sta parlando molto in queste ore. Nella campagna permanente online pare essere in queste settimane l’agente “di opposizione” più interessante da osservare, e più efficace. Qualitativamente, molta parte ha avuto, nella vicenda che andiamo descrivendo, nel dare una direzione cognitiva ed emotiva univoca a una certa porzione egemone di messaggi del “pubblico”, colmando, solo in parte certo, una lacuna evidente manifestata da quel campo politico, se così si può indicare, durante la campagna elettorale e nei primi mesi successivi alle elezioni.
4.
Spostiamo ora l’attenzione sulla “conversazione” generatasi attorno alla parola-chiave “Mattarella”. Anche in questo caso si è tentata una comparazione, parziale, con quanto accaduto nel 2017.
Il corpus del 2018 è costituito da 10.353 tweet. 8 tra questi hanno ottenuto più di 1.000 retweet. L’account del Quirinale ha egemonizzato la scena discorsiva, il suo uso degli hashtag è stato sapiente e ha potuto di fatto contare, come si diceva, su una “lettura [quasi] univoca” che ha rinsaldato ed espanso i frame cognitivi ed emotivi immanenti al discorso del Presidente.
Si osserva #facciamorete tra i primi 3 hashtag in ordine di frequenza.
Tolto il “rumore”, la parola piena con più occorrenze, in un corpus di 210.577 word tokens, è “grazie”, con “grazie presidente” primo in ordine di frequenza tra i cluster. Tra le prime 50 vi è anche “grande”.
Dal punto di vista del conflitto argomentativo, è molto interessante notare come la leadership narrativa del Quirinale abbia svolto una funzione “inibitrice” nei confronti di pratiche avversative. Il comportamento di adiuvanti ]che abbiamo visto] e opponenti ha fatto il resto. Non si è di fatto dispiegata, attorno alla parola-chiave in oggetto, nessuna guerriglia semiologica di un qualche spessore. Le invettive sono [relativamente] rare. Questo almeno è ciò che è accaduto sulla scena principale. Sarebbe interessante, ma troppo lungo da fare qui, osservare ciò che è accaduto invece negli “spazi laterali”, in risposta ai tweet dei tanti opinion leader che hanno magnificato, in tutto o in parte, il discorso del Presidente.
Il corpus-2017 conta 2.376 tweet. Di due politici, allora in campagna elettorale, i due tweet ([il primo simpatetico, il secondo oppositivo] che ottennero il maggior numero di risposte, 145 e 106. Il tweet che generò più retweet ne contava 814, ed era in lingua inglese. Seguiva un tweet satirico [in italiano] che di retweet ne generò 748, assieme a 1.635 likes.
Tra gli hashtag, due soli quelli rilevanti tra i primi 10 in ordine di occorrenze computate: #costituzione e #lavoro.
In questo caso, tolto il rumore, sono “lavoro”, “partiti”, e “giovani” le prime tre parole piene in ordine di frequenza. Anche qui compare “grazie”, ma con minore frequenza relativa. Se si osservano collocati e cluster, la modalità enunciativa prevalente è quella informativa, che pare replicare, in modo speculare, a quella “istituzionale” del discorso del Presidente. L’opposto di quanto accaduto nel 2018, quando la modalità “politica” del discorso ha reso possibile lo strutturarsi di uno spazio discorsivo non-informativo, saturato poi “con successo” dal frame del supporto e dell’approvazione.
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