Secondo i dati del 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2018, nel capitolo dedicato a comunicazione e media, i giudizi positivi sulla disintermediazione digitale in politica sono espressi da una percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente, il 47.1%. Il 16.8% ritiene che siano preziosi, perché così i politici possono parlare direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30.3% pensa che siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23.7% crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano nei giornali e in TV, il resto è gossip. Infine, il 29.2% è convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti agli avversari.
Se il Paese appare spaccato a metà sulla bontà, o meno, nell’utilizzo dei social nella comunicazione politica, poco più di un quarto delle persone ritiene la visibilità mediatica fattore indispensabile per avere successo in politica, mentre solamente per il 12.3% degli italiani la popolarità sui social è elemento di successo in politica.
Comunque la si pensi al riguardo, non vi è dubbio che, dalla formazione del Governo in carica in poi, i social siano diventati definitivamente uno dei canali di comunicazione più utilizzati dall’attuale classe politica, anche perché attraverso questi riescono poi ad amplificare ulteriormente il loro messaggio che viene ripreso dai media tradizionali.
Sul tema sono stati spesi fiumi di exabyte, e in particolare la presenza di Salvini è stata oggetto delle più disparate analisi. Dalla “bestia”, il sistema che il team di Luca Morisi avrebbe approntato, con il diretto interessato che nega al riguardo, ai costi dello staff, passando per citazioni e riferimenti “fantasiosi”, diciamo, su McLuhan e l’uso dei social da parte dei politici, e la supposta crisi del vice premier sui social, sino a metter sotto la lente di osservazione chi gestisce i social di governo e istituzioni, per arrivare persino all’interessamento del NYTimes sulla questione, un’enormità di considerazioni e commenti, più o meno adeguati naturalmente, sono stati fatti sul tema negli ultimi sei mesi.
In tutto questo però sono rimasti fuori dal dibattito tre elementi fondamentali:
- La mono-direzionalità della comunicazione della maggior parte dei politici;
- Il pericolo che l’uso recente di prodotti alimentari, e la relativa citazione dei brand, rappresenta per le imprese;
- La prevalenza di una scarsa, o nulla, differenziazione tra la comunicazione politica e quella istituzionale.
Se consideriamo il grande volume di condivisioni, e la relativa amplificazione dei contenuti, è chiaro che la presenza sui social è ad un livello di retroguardia rispetto alla “vecchia” comunicazione politica. Se infatti nelle interviste, nei dibattiti, nei talk show vi sono, seppur più o meno appropriate, domande e risposte, in questo caso invece, come documentato, la comunicazione è pressoché esclusivamente mono-direzionale. Non è un bene sotto il profilo della comunicazione, e molto probabilmente neppure per la politica e la democrazia.
L’utilizzo, non concordato, di noti brand, che in realtà non è una novità assoluta, se per Salvini presenta vantaggi e svantaggi, rappresenta di fatto una nuova possibile minaccia per i brand, per le aziende coinvolte. Infatti, se è certamente vero che sempre più i brand devono prendere posizione su temi civili e sociali, è altrettanto vero che l’associazione non richiesta possa creare problemi alla reputazione aziendale/della marca.
Come spiega al Foglio Luigi Norsa, che insegna comunicazione di crisi allo Iulm, per un’azienda avere un politico come influencer non è un grande affare, poiché «i politici in generale sono oggi esposti a un’aggressività senza precedenti da parte dell’opinione pubblica, anche in modo pregiudiziale, così come possono godere di largo consenso a prescindere dai contenuti che esprimono. Proprio per questo motivo i marchi a cui si affiancano sono esposti a rischi di tipo reputazionale». Non a caso un funzionario Barilla, che ha chiesto di non essere identificato perché non autorizzato a parlare, ha detto che i post di Salvini che promuovono la Barilla hanno suscitato costernazione all’interno dell’azienda a causa della politica polarizzante di Salvini.
Anche il limite tra comunicazione istituzionale e comunicazione politica è sempre più labile, spesso inesistente. Ad esempio, quando Salvini, denunciato dal sindacato dei pompieri per uso illegittimo della divisa, posta un contenuto sui social lo fa da Segretario della Lega, da Ministro, o da vice-premier?
Un equivoco nel quale, ad esempio, non cade il Ministro Trenta che mantiene un tono istituzionale anche nella sua fanpage personale, oltre che naturalmente in quella del Ministero di cui è a capo, mentre al contrario nel caso di Salvini, complice il fatto che il Ministero dell’Interno non abbia una pagina Facebook ma solamente Twitter, dal quale si limita prevalentemente a retwittare altri account istituzionali, l’overlap, la sovrapposizione, è pressoché totale.
Un ruolo istituzionale richiede altrettanto una comunicazione istituzionale, cioè, in sintesi, una comunicazione che, in una logica di e-democracy, permette alle istituzioni di dialogare con i cittadini e di rilevare facilmente i loro bisogni ed il loro gradimento dei servizi e delle informazioni diffuse, divenendo così strumento strategico per il miglioramento della relazione tra amministrazione e cittadino. È evidente che nell’attuale fase tutto questo non avviene, se non in maniera assolutamente marginale rispetto invece alla connotazione squisitamente politica, spesso propagandistica.
I legacy media per lungo tempo sono stati gli intermediari della comunicazione tra il potere, e dunque anche la politica ed i politici, e le persone. Non a caso si è parlato molto di “agenda setting”, di come, appunto, i media, intermediando la realtà, fossero in grado di costruire ciò attorno al quale ruotava il dibattito. Dal “Web 2.0” in poi, progressivamente, sino ad oggi, NON è più così, si rende dunque necessaria una riconcezione e una disciplina, o almeno un autodisciplina, che regolamenti questi aspetti di gran lunga più importanti di un pugno di troll e altre fantasie sulle quali si dibatte, inutilmente, da tempo.
Speriamo di aver fornito, almeno, spunti sufficienti ad una riflessione su un tema che è sempre più attuale e stringente.
La fonte dei dati elaborati per l’analisi effettuata relativamente alle performance della fanpage e alle mention di Salvini è Talkwalker con cui DataMediaHub ha una partnership per l’ascolto della Rete. Questa e le molte altre analisi prodotte sono, anche, delle “demo” della parte di social media listening/monitoring che potremmo fare per il vostro brand, la vostra organizzazione. Se d’interesse contattateci attraverso l’apposito modulo. Grazie.
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