Kaleida, media research company di recente costituzione, nata da poco più di un anno grazie ai contributi del Digital News Innovation Fund di Google, ha pubblicato il rapporto “News Ecosystem Report”. Lo studio, condotto a livello europeo nel mese di Gennaio di quest’anno, si basa su una ricerca ad hoc condotta da YouGov su oltre 3mila persone in Francia, Germania e Regno Unito [mille per nazione circa], i dati delle rilevazioni periodiche di comScore e del Global entertainment and media outlook report 2017-2021 di PwC, e gli analytics di 18 publisher, inclusi alcuni italiani, che hanno accettato di fornire i loro dati.
Per quanto riguarda in maniera specifica gli editori del nostro Paese, Matt McAlister, CEO di Kaledia con il quale sono in contatto da tempo, mi ha riferito che «The Italy data was limited. The Italy data feeds into the aggregate results. But we couldn’t separate it out and report Italy-specific behaviours with any reliability». I dati relativi all’Italia sono solo sotto forma aggregata dei 18 editori di quotidiani, ma sul tema il rapporto dell’Osservatorio sulle Testate Online prodotto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in collaborazione con ANSO e USPI, pubblicato a metà Aprile, costituisce una valida integrazione che consente una panoramica completa anche in riferimento all’Italia.
Fatta la doverosa premessa metodologia, vediamo di entrare nel merito dei risultati emergenti dallo studio, che fornisce davvero moltissimi spunti di riflessione, e di azione, concentrandoci in maniera specifica su un aspetto del report: quello del valore della relazione tra piattaforme, publisher e lettori.
Il rapporto evidenzia come l’esposizione alle notizie, ovvero la lettura almeno del titolo sui siti web dei publisher o sulle piattaforme, nel mese di Gennaio 2018 sia stata di circa 23 miliardi di impression. I click da terze parti ai siti si news sono stati oltre 7 miliardi.
Di questi quelli generati da Google e Facebook, che rappresentano oltre 80% del traffico proveniente da referral, forniscono attorno ad un terzo dei ricavi pubblicitari degli editori europei, pari a 53 milioni di euro. Google pesa circa il doppio di Facebook, che dopo il cambio nell’algoritmo a Gennaio, tanto discusso, pare essersi stabilizzato, al ribasso rispetto a prima, come quota di traffico media verso i siti dei newsbrand. Un dato confermato anche dall’analisi di Parse.ly.
Al riguardo ci sono due aspetti che è opportuno evidenziare. Se certamente 53 milioni di euro al mese sono una cifra tutt’altro che trascurabile, se divisi per il numero di testate online in tutta Europa, pur con tutte le differenze tra le singole testate, diventano valori relativamente modesti, e soprattutto, se tradotti a livello unitario, ad un CPM medio di €1.90, si traducono in 0.007 euro a click/impression.
Inoltre, coloro che cliccano dopo essere stati esposti al titolo, ed eventualmente alla preview dell’articolo, che nelle tre nazioni oggetto dell’indagine di YouGov sono il 32% del totale, solamente nel 42% dei casi leggono integralmente l’articolo, mentre nel 24% dei casi leggono solo il primo paragrafo e nel 28% dei casi lo leggono “superficialmente”, lo scorrono velocemente. Quindi complessivamente il 12% legge tutto l’articolo dopo essere stato esposto al titolo, spesso grazie alla condivisione da parte di propri contatti e non ai contenuti sulle fanpage.
Ci sono molti altri aspetti di interesse emergenti dalla ricerca e, come d’abitudine, vi invitiamo a leggere integralmente il report, ma una cosa è certa: le pratiche più diffuse da una porzione più che consistente dei publisher, che considerano i social una discarica di link da cui dragare traffico, non generano valore né economico e neppure di relazione con le persone. È evidente, credo davvero, che in questo modo, con le modalità adottate sin qui non vi sia prospettiva per l’ex industria dell’informazione.
Una persona a me cara, e della quale ho grande stima professionale, meno di un mese fa, durante l’ultimo Festival Internazionale del Giornalismo, a quattr’occhi, mi diceva che a suo avviso era un peccato che “il metodo Santoro”, applicato con successo a La Stampa, grazie al supporto inestimabile di Marco Bardazzi e Mario Calabresi, non fosse divenuto poi un metodo di lavoro diffuso e condiviso se non per alcuni degli aspetti più marginali. Non ho potuto che sorridere con amarezza e darle ragione. Per il resto i risultati, compresi quelli emergenti da questa indagine, parlano da soli. O si cambia prospettiva e modus operandi, o è chiaro che la marginalizzazione dei newsbrand non potrà che proseguire.
In caso di eventuali dubbi si veda cosa dichiara Campbell Brown, Head of News Partnerships di Facebook, in una recente intervista che spiega come «I think we are shifting how we think about news on Facebook. We used to think about it as optimizing for engagement, but now we’re optimizing for quality. So a lot of the journalism that might have been successful in the past because it got a lot of engagement — viral videos and sensationalist kind of content that everybody wanted to click on — isn’t going to do very well given what we’re optimizing for now». Fate vobis.
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