Pubblicato il rapporto annuale di Hootsuite e We Are Social con i dati raccolti di ben 239 Paesi relativamente allo scenario social e digital a livello globale.
Oltre a questi viene fornito il dettaglio per quanto riguarda l’Italia con una sezione del rapporto specificatamente dedicata al nostro Paese.
Emerge come l’utilizzo del cellulare sia addirittura superiore a quello della televisione con il 97% degli italiani che usa un qualsiasi tipo di telefonino [inclusi dunque non smartphone] contro il 94% che usa qualsiasi tipo di televisione. I tablet vengono utilizzati dal 31% della popolazione mentre i dispositivi per leggere gli e-book si attestano solamente al 3%. Estremamente ridotto ancora sia l’utilizzo di dispositivi ad hoc per guardare la TV in streaming che i “werable”.
Il tempo medio giornaliero speso in Rete è circa il doppio di quello dedicato alla TV [sei ore contro tre ore al giorno], mentre quello dedicato all’ascolto di musica in streaming si attesta attorno ai 45 minuti. Più di una persona su tre [35%] utilizza adblock.
YouTube supera Facebook in termini di penetrazione delle piattaforme social con il 62% degli utenti attivi contro il 60% del social più popoloso del pianeta, che però ritorna al comando per tempo medio speso per visita con oltre dieci minuti rispetto ai circa otto della piattaforma di video. Tra le piattaforme social saldamente in terza posizione Instagram con una penetrazione superiore di dieci punti percentuali rispetto a Twitter [33% vs 23%]. Si conferma, in caso di dubbi, la marginalità di Snapchat, al 9%.
Secondo il rapporto sono 34 milioni gli utenti attivi mensilmente su Facebook in Italia [88% da mobile]. Un dato sicuramente sovrastimato dato dal fatto che viene condizionato non solo dagli italiani ma anche dai turisti presenti nel nostro Paese che i dati dell’advertising conteggiano, come era già emerso in passato. La maggior concentrazione è nella fascia di età compresa tra 25 e 34 anni con una leggera prevalenza di persone di sesso maschile.
Quelli che sono di maggior interesse sono però i dati qualitativi. In primis emerge come la reach organica dei post in pagina sia poco più dell’11% della fanbase. Dato da considerare al ribasso se si riflette al fatto che viene inevitabilmente condizionato dalle condivisioni.
Naturalmente sono i video i contenuti che producono il maggior tasso di engagement delle fanpage, seguiti, quasi a pari merito da foto e link. Un dato quest’ultimo che sfata uno dei tanti miti che circolano tra gli addetti ai lavori. Il tipo di contenuto che minor coinvolgimento, mediamente, genera è quello di status, di solo testo, mentre, come mostra l’infografica sottostante, il tasso medio di engagement si attesta al 3.9%.
Si tratta di dati che, non essendo inficiati dall’algoritmo di Facebook o da altri elementi “tecnici”, la dice lunga su quanto male mediamente si lavori, ovvero, volendo positivizzare, di quanto ampi margini di miglioramento vi siano in tal senso a prescindere dai continui cambiamenti della piattaforma social in questione, come del resto emergeva con chiarezza già dai dati pubblicati all’inizio dell’anno.
Inoltre, se si considera che convenzionalmente l’engagement rate viene calcolato sommando il totale delle interazioni [like+commenti+condivisioni] diviso per il numero di persone e moltiplicato per 100] si capisce come questo sia in realtà ancora più basso. Infatti, a mio modo di vedere, si tratta di una modalità di calcolo da riconsiderare, da rivedere e calibrare in maniera diversa, poiché mette sullo stesso piano, attribuendo il medesimo valore i like, i commenti e le condivisioni, falsando dunque la realtà.
Si tratta invece di azioni compiute dalle persone che hanno un valore ben diverso tra loro sia in termini di investimento temporale che, soprattutto, psicologico. Mentre infatti mettere mi piace – o altra “reaction” – è un gesto che richiede un tempo minimo e che di fatto non genera alcun impatto, come banalmente dimostra, ad esempio, l’ampissima distanza tra la fanbase di alcune testate e il traffico al sito web, ben diversa è la questione per condivisioni e commenti.
La condivisione, sepppur mediamente non richiede molto più tempo di un like, comporta però un investimento psicologico poiché la persona si “appropria” del contenuto, lo fa suo e lo auto-rappresenta agli occhi dei suoi amici, dei suoi contatti. Altrettanto dicasi per i commenti che, al netto delle derive, richiedono una lettura attenta del contenuto e altrettanta dedizione nel formulare il commento in un italiano, almeno, passabile, con un investimento sia temporale che psicologico decisamente superiore.
Per ovviare al problema, e avere una metrica del coinvolgimento effettiva, si rende dunque necessario ponderare le tre tipologie di interazione, dando loro un peso specifico distinto. Dopo dieci anni di presenza, e di lavoro, sui social credo davvero sia giunta l’ora di riconsiderare come misurare e valutare il tasso di engagement prima che anche questo diventi una “vanity metric” da presentare nella prossima riunione, nel prossimo report.
Si tratta di alcuni degli aspetti che verranno approfonditi nel master dai noi organizzato, in collaborazione con Associazione Stampa Romana e AGI, in partenza ad Aprile.
- Libero è il Quotidiano nel Quale gli Italiani Hanno Minor Fiducia - 14 Giugno 2023
- DigitalMente - 28 Aprile 2023
- Gli Utenti degli OTT in Italia - 26 Aprile 2023