Una selezione ragionata delle notizie su media, giornalismi e comunicazione da non perdere, commentate.
- Facebook punta sugli “influencer” – Facebook ha annunciato il “Facebook Communities Summit” Europeo. L’evento, che si terrà a Londra a Febbraio 2018, riunirà organizzatori di eventi, amministratori di pagine e gruppi, insomma i leader, o influencer che dir si voglia per utilizzare un termine in voga, all’interno della piattaforma social. Durante la due giorni dell’evento saranno organizzati workshop e panel dedicati a formare le persone su nuove competenze, l’utilizzo di tools e la gestione delle communities. Per richiedere di partecipare la scadenza è il 01 Dicembre prossimo. Facebook coprirà i costi di vitto e alloggio mentre per le spese di viaggio saranno valutati i singoli casi a discrezione del social più popoloso del pianeta. Si tratta del primo evento di questo tipo in Europa dopo che un incontro simile è stato organizzato all’inizio di quest’anno negli Stati Uniti. La contromisura al calo di contenuti che gli utenti caricano su Facebook e alla diminuzione del tempo passato all’interno della piattaforma social da parte delle persone. Tendenza quest’ultima in atto da tempo.
- È ora di mettere i lettori nel customer journey – L’amico Gianluca Diegoli esce dai temi che tratta abitualmente per dedicarsi, in un podcast di poco più di un quarto d’ora, a come vendere le notizie. Pur non essendo strettamente un addetto ai lavori centra perfettamente il punto. Assolutamente condivisibile, a mio avviso, l’idea dell’inutilità dei panel ai vari eventi e convegni che ormai si susseguono senza sosta e si continuano a ripetere le stesse cose ormai da cinque anni, almeno, senza che questo poi di fatto avvengano. Non a caso più di tre anni fa scrissi “meno panel più workshop” proprio sulla questione. Diegoli definisce il mondo dell’editoria “bizzarro” ed è difficile dargli torto vedendo come gli sviluppi di questi anni spesso siano apparentemente alieni da logica alcuna. Soprattutto spiega, o ricorda, a secondo dei casi, rifacendosi a concetti che per chi come il sottoscritto si occupa di marketing sono scontati ma che invece ancora una volta sembrano fantascienza per i publisher italiani, come vi sia una assoluta assenza di una strategia di marketing degna di questo nome a cominciare dall’assenza di differenziazione, al di là dell’orientamento politico, in termini di offerta informativa. Oltre a questo ricorda come i publisher, sotto le dichiarazioni, i proclami contro il duopolio Google – Facebook, stiano di fatto svendendo i dati dei dei propri lettori online proprio agli OTT. Lucidissima analisi da ascoltare assolutamente.
- Trent’anni di “punto it” – Oggi, 24 Novembre, l’Internet italiano compie 30 anni, e più di qualcuno continua a definirlo new media probabilmente perchè, come appare evidente dalle pratiche prevalenti, ancora non ne ha compreso le logiche. Per l’occasione il Corsera ripercorre alcune delle tappe fondamentali quali Il primo nome, il primo dominio registrato, piuttosto che qual è stata la prima università online o la prima squadra di calcio ad aprire un proprio sito web. Si viene così a scoprire che tra le prime aziende straniere ad aver registrato un dominio italiano compare l’agenzia stampa britannica Reuters [1994] mentre la prima azienda famosa italiana ad avere un sito internet .it è stata Olivetti nel Novembre del 1990. La prima casa automobilistica italiana a registrare un dominio .it è stata, nel febbraio 1995, Ferrari che ha preceduto la nascita di www.fiat.it [Gennaio 1996] di un anno. Infine, nel 1994 partiva il servizio di posta elettronica di Italia On Line con 115mila utenti attivi. Questi erano gli italiani che potevano accedere a internet principalmente da lavoro e quasi tutti sfruttavano i servizi di un portale come Italia On Line, partendo proprio da www.iol.it per iniziare la navigazione o per accedere al servizio di webmail dell’azienda. Nel 1995, un anno dopo la nascita di iol.it, grazie alla disponibilità del dominio libero.it, il numero di caselle di posta attive passa da 115mila a 2 milioni. Amarcord per riflettere.
- La “badgification” delle news sportive – È online da un paio di giorni la piattaforma partecipativa Gazzetta Fan News, pensata per dare voce al contributo di tutti gli appassionati che hanno sempre sognato di scrivere di sport, realizzata con contenuti completamente prodotti dagli utenti. Il progetto, selezionato e finanziato da Google per il round 2016 DNI [Digital News Initiative], ora è pronto seppure ancora in versione beta. L’idea è di coinvolgere chi vive davvero lo sport, che sia un blogger o un accanito commentatore, uno sportivo casuale o un super appassionato. Gli articoli, caricati direttamente dagli autori previa registrazione, verranno moderato dal team di Gazzetta Fan News e poi pubblicati sul sito. Tutti i contenuti realizzati, genereranno un punteggio [Fan Point] in base al numero di visualizzazioni, condivisioni e commenti calcolati attraverso un algoritmo studiato appositamente. Fan Point grazie alla fiammella con il numero accanto che si trova in tutti gli articoli. Il team di Gazzetta Fan News inoltre, assegnerà dei badge a seconda di numero di articoli pubblicati, numero di condivisioni ottenuti, numero di missioni vinti, posizione raggiunta in classifica ed eventuale pubblicazione degli articoli su GazzaNet o Gazzetta.it. La “badgification”, pur stimolando il coinvolgimento delle persone con questo tipo di ricompense, se fine a se stessa, molto spesso rischia di creare aspettative che poi restano vuote di significato, mentre il valore aggiunto della gamification è quello di generare emozioni positive, eustress, come dice Jane McGonical in “La Realtà in Gioco”. Foursquare, che utilizzando semplicemente meccanismi di badgification non ha fornito di fatto motivazioni sufficienti alle persone, ridimensionandosi sino quasi a scomparire dopo il boom iniziale di qualche anno fa, insegna.
- Gnusletter – Il 2017, complice la caduta libera della reach organica dei social, ha sancito la riscoperta delle newsletter da parte di brand e newsbrand. Ormai non esiste azienda e testata che non abbia una propria newsletter anche se quelle ben fatte, come al solito, si contano sulle dita di una mano, o poco più. Per quanto riguarda le testate giornalistico, secondo me, le migliori sono quella de Il Post, per il “tone of voice”, per il linguaggio e modo di porgere, e quella de Il Foglio: “Di cosa parlare stasera a cena e il Diario del weekend”, per la varietà di contenuti che non veicolano esclusivamente quelli del giornale. Ne produciamo una anche noi di DataMediaHub, che viene inviata una volta sola alla settimana, la Domenica, ed infatti si chiama “Digital Media Sunday Brunch”. Digest settimanale su media, giornalismi e comunicazione gratuito del quale potete leggere i numeri sin qui pubblicati e iscrivervi se vi piace. Al riguardo si segnala quella realizzata di recente da Giorgio Dell’Arti: “Anteprima”. Anteprima, che si compone di tre sezioni: “Stamattina, Oggi e Domani” chiede d’essere letta, non guardata, ed infatti vi è assoluta assenza di immagini. La newsletter fornisce una selezione delle principali notizie e fonti della giornata ed essendo in fase di lancio, al momento, è gratuita. Stamattina è la sezione in cui si espone l’agenda dei fatti più importanti attesi nell’arco della giornata, Oggi quella in cui si elencano i temi più importanti legati alla giornata successiva mentre Domani ripercorre alcune tappe storiche. Soprattutto, Dell’Arti fa quello che dovrebbero fare, e non fanno, i giornali, recuperando le radici del giornalismo per fornire una selezione che nell’era della sovrabbondanza è preziosa. Per riceverla via mail verso le 7:30 del mattino è sufficiente registrarsi scrivendo a gda@vespina.com. Fatelo, ne vale la pena, garantisco personalmente al riguardo.
- Big data analytics – Il mercato dei Big Data Analytics continua la sua crescita nel 2017, segnando un aumento del 22% e raggiungendo un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro. Per la maggior parte resta appannaggio delle grandi imprese, che si dividono l’87% della spesa complessiva, mentre le Pmi si fermano a una quota del 13%, anche se i loro investimenti aumentano del 18% rispetto allo scorso anno. Il 42% della spesa per gli analytics è dedicata ai software [database, strumenti e applicativi per acquisire, visualizzare e analizzare i dati], il 33% ai servizi [personalizzazione dei software, integrazione con sistemi informativi aziendali e riprogettazione dei processi], il 25% alle infrastrutture abilitanti [capacità di calcolo, server e storage]. Nel 2017 cresce il mercato e cresce la consapevolezza delle aziende italiane delle opportunità offerte: il 43% dei CIO italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come la principale priorità di investimento nel 2018. La maggiore consapevolezza si riflette anche nella crescita delle competenze impiegate: quasi un’impresa su due ha già inserito nel proprio organico uno o più data scientist, passando dal 31% del 2016 al 45% di quest’anno. Tuttavia, il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in “big data enterprise” è ancora lungo: soltanto il 17% ha raggiunto un buon livello di maturazione [contro l’8% del 2016], mentre il 26% si trova in una fase di riconfigurazione dei propri processi organizzativi e il 55% è rimasto legato a un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business analizzano i dati di propria competenza senza una visione aziendale complessiva. Questi i principali risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano che evidenzia come tra gli ostacoli principali ai progetti di big data analytics spicchi la mancanza di impegno e coinvolgimento da parte del top management [53%]. Del resto quando nelle principali imprese esistono ancora come funzioni separate quali il marketing ed il digital marketing, piuttosto che le PR e le digital PR, non c’è da sorprendersi sulle gravi carenze di governo delle imprese da parte di chi sarebbe deputato a farlo. Come dicevo quotidianamente tanto tempo fa [forse qualcuno se lo ricorda], mañana sol y buen tiempo…
- Gettare la spugna sulla fake news – Francesco Specchia, ex accademico, è giornalista e critico televisivo di Libero, per il quale cura anche il blog Complimenti per la trasmissione. Si occupa principalmente degli intrecci tra informazione, mass media e politica. Ha lavorato per L’Arena, La Voce di Montanelli, Il Giornale. È stato direttore della collana Media Mursia per Mursia Editore ed editorialista di TGCom. Insomma, si tratta di persona autorevole nell’ambito dei media a prescindere dal proprio orientamento politico. Ebbene, Specchia ieri su Libero ha scritto un articolo, dal titolo «Distinguere le “bufale” è sempre più difficile. Ormai sono un’ industria», nel quale analizza le difficoltà per i giornalisti nel distinguere le “fake news”. Tra le altre cose si legge che «Le fake sono un’ industria, il fenomeno oramai è incontrollabile. Chi usa notizie false per influenzare le opinioni politiche o per motivi commerciali può, per esempio, contare sull’ “effetto-bolla” dei social network; e Facebook e Google News impaginano le notizie in una modalità omogenea, uguale sia per il Washington Post che per i siti terribili, appunto, di Giancarlo Colono. Quindi la capacità di controllo delle fonti da parte di noi giornalisti è messa a durissima prova. E molti di noi si rendono complici involontari di misinformazione, cioè di condivisione di informazioni false. Altro problema è che i giovani colleghi, privati della consuetudine all’ inviatura e inchiodati al pc in un’ impaginazione talora ai limiti delle catatonia, sempre più spesso difettano di capacità di factchecking, di controllo immediato dei fatti [figuriamoci, non lo facciamo più, ormai demoralizzati, noi vecchi]». Si potrebbe ironizzare sul fatto che queste riflessioni vengano scritte sul quotidiano per il quale continua a scrivere “Betulla“, ma non è questo il punto, o almeno non è solo questo. Attribuire le colpe a Google e Facebook è l’ennesimo tentativo di scaricabarile che non potrà che condurre ad un ulteriore perdita di rilevanza.
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