Le bevande dolci e gassate fanno male. Se anche in Italia se ne parla da tempo, dall’altra parte dell’oceano è ormai l’ossessione di una nazione piena di contraddizioni nella quale si possono tranquillamente comprare armi ad ogni angolo ma le calorie di una bevanda sono il demonio, mentre invece il puritanesimo protestantista che mette al bando chi mente – come era accaduto a Bill Clinton per la nota vicenda della stagista – pare, ahimè, ormai sdoganato dalla “post verità” di Trump e compagni.
Infatti, sono ormai moltissimi i comuni che negli Stati Uniti tassano pesantemente i soft drink zuccherini, con quella che è stata soprannominata la “soda tax”, e il neo-proibizionismo pare funzionare nella riduzione dei consumi di questa tipologia di bevande. Problema da affrontare anche in Europa dove il settore dei soft drink si è impegnato a ridurre del 10% il contenuto zuccherino delle proprie bevande proprio per provare a scacciare lo spettro di una maggiore tassazione.
Ecco che allora The Coca-Cola Company prova a riposizionare la sua immagine al grido, appunto, di #CocaColaRenew, proponendosi come una «organic tea company», ma anche una «premium juice company», piuttosto che una «coconut water company», attribuendosi pubblicamente, in uno spot di metà Settembre durante il “Sunday Night Football” [programma nel quale uno spot da 30″ costa tra 100mila e 300mila dollari], una serie di prodotti che la maggior parte delle persone, che spesso li acquista per placare il proprio senso di colpa per uno stile di vita, ed alimentare, “disordinato”, consuma senza neppure sapere che siano prodotti dall’azienda che produce la bibita gassata più famosa del mondo.
È da intendersi in tal senso evidentemente, anche, il lancio relativamente recente di Coca-Cola Life, line extention della bibita zuccherata con elementi naturali.
Un trend che ovviamente coinvolge anche altri multinazionali, come ad esempio Nestlé che di recente ha acquisito Blue Bottle Coffee e si inserisce, come noto, in una tendenza in atto da tempo dove il salutismo ed il “welleness” coinvolgono fasce sempre più ampie della popolazione anche nel nostro Paese.
Insomma, The Coca-Cola Company prova a riposizionarsi come impresa “buona”, anche, per la salute, per ora, degli americani, e sicuramente in un prossimo futuro non troppo lontano anche di altri, italiani compresi naturalmente, anche se nel nostro Paese la comunicazione pubblicitaria di questa estate è stata invece tradizionale rispetto al nuovo spot negli USA.
Un riposizionamento partito dall’unificazione del packaging sempre rosso e non più di colori diversi per le varianti della bibita e, soprattutto, dal passaggio da “open happiness”, con il quale Coca-Cola veicolava messaggi utopici ed aspirazionali, a “taste the feeling”, che invece pone al centro il prodotto.
L’idea di riposizionarsi, unificando e riordinando tutta la comunicazione del brand è senza dubbio interessante. Quando i brand utilizzano codici coerenti in tutti i suoi punti di contatto riescono ad essere compresi e riconosciuti con maggior facilità. Resta da vedere se, e in quanto tempo, il tentativo possa portare ai risultati attesi dopo decenni di identificazione, quasi di simbiosi, tra l’impresa ed il suo brand più noto.
Nell’epoca del passaggio dalla brand image alla brand reputation, e dalla brand identity alla brand personality il riposizionamento passa, anche, da azioni di questo genere che solo il tempo potrà dire se avranno il successo atteso.
Una cosa è certa, a parlare sono i numeri: tra il 2012 e il 2015 all’interno del portafoglio di Coca-Cola Inc., che conta oltre 100 referenze drink, a crescere [in milioni di litri] sono stati i consumi di bottigliette d’acqua e bibite gassate non riconducibili alla cola.
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