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Una sele­zione ragio­nata delle noti­zie su media, gior­na­li­smi e comu­ni­ca­zione da non per­dere, commentate.

  • Il Boom di Discovery Italia – Il gruppo Discovery Italia ha chiuso un esercizio 2016 molto buono, con ricavi in crescita del 22,1% rispetto al 2015 e pari a 238 milioni di euro, un ebit a 20,4 milioni di euro [11.7 mln nel 2015] e utili a quota 12.8 milioni, dopo gli 8.5 milioni di profitti nel 2015. In particolare, nel 2016 la raccolta pubblicitaria pesa per 204.3 milioni di euro sul totale ricavi di Discovery, mentre 31.3 milioni arrivano dalla voce “prestazioni di servizi”. Il broadcaster di Real Time, Dmax, Giallo, Focus, ecc sembra aver digerito più che bene l’ingresso nella grande tv generalista con Nove, canale che naturalmente ha comportato un aumento dei costi ma a cui va imputata quasi tutta la crescita 2016 dei ricavi pubblicitari.Nel gruppo Discovery Italia, a fine 2016, lavoravano 28 dirigenti, 50 quadri e 138 impiegati. La verticalizzazione dei contenuti funziona sempre più anche per la TV. Se ne saranno accorti gli editori di giornali italiani?
  • Influencer & Cyaltroni – Le principali fonti informative del nostro Paese, in riferimento alla “moral suasion” dell’Antitrust su una maggiore trasparenza nell’influencer marketing, ieri titolavano «Il Garante alle star dei social “Basta pubblicità occulta”» [Repubblica], pittosto che «Richiamo a Belén, Ferragni e Pellegrini “Se fate pubblicità siate trasparenti”» [Corriere della Sera], per restare ai due principali quotidiani generalisti italiani. Sulla questione Giovanni Boccia Artieri scrive che «sia necessario che il principio di trasparenza circa la pubblicità indiretta nei social media nasca come esigenza dalle comunità di riferimento più che da una semplice norma da imporre alle celebrità. Anche perché le dinamiche di influencing riguardano miriade differenziate di soggetti che dalle loro posizioni dominanti nei confronti di pubblici di nicchia vengono coinvolte in progetti di buzz marketing tra i più diversi e non solo utenti chiaramente individuabili come “celebri”. Il principio di celebrità con i social media si è generalizzato e moltiplicato in rivoli micro sino a rendere evidente che ogni utente può essere in qualche modo influente per un altro a partire dai gradi di fiducia che li legano». Come ricordavo ieri “a caldo”, del codice “anti marchette” scrivevo già nel 2013 [ma anche prima]. All’epoca fui pesantemente contestato [pour cause?] di voler censurare la Rete e, nonostante un generale interesse attorno alla questione, non se fece nulla. Ieri erano i “blogger”, oggi gli “influencer”. Tutta roba già vista abbondantemente. Esistono giornalisti e blogger cialtroni come blogger professionisti e giornalisti della stessa capacità. Non si tratta di medesimi soggetti di serie A e serie B, si tratta proprio di due categorie distinte e distanti. Il consumatore non è uno stupido, il consumatore è tua moglie. Ricordarsi sempre della celebre frase di Ogilvy. I “cialtroni” sono sempre esistiti e si sono sempre auto-eliminati.
  • Guardian & Membership – Il Guardian Media Group ha annunciato i risultati dell’ultimo anno finanziario. I ricavi complessivamente sono cresciuti del 2.4% e le perdite sono state ridotte a oltre un terzo rispetto all’anno precedente [ 25.1 milioni di sterline Vs 68.7]. La revenues da digitale sono cresciute del 15% ed anche se non sono forniti i dettagli, secondo quanto riportato, i ricavi da advertising digitale sono aumentati del 10%. È in particolar modo il programma di memebership ad ottenere risultati straordinari passando dai 50mila membri paganti agli attuali 230mila. Cifra che fa si che complessivamente, inclusi gli abbonati [cartaceo e/o digitale], si arrivi ad oltre 400mila persone che pagano per i contenuti del quotidiano. Il gruppo editoriale britannico conta di raggiungere il break-even entro il prossimo biennio. Quando si ha una strategia chiaramente definita, ed un’organizzazione del lavoro e competenze congrue, i risultati arrivano.
  • Dacci Oggi il Nostro Pane Quotidiano – Secondo i dati di Nielsen, il comparto dei pani industriali, composto dalle categorie del pane secco e del pane morbido confezionato a peso imposto, copre un giro d’affari di oltre 1,3 miliardi di euro; le due categorie si dividono quasi equamente il mercato, rispettivamente con 697 milioni di euro [52% del totale] e 646 milioni di euro. Il comparto mostra una crescita del +2.7% a valore, superiore alla performance del totale food confezionato [+0.9]. La crescita è trasversale in tutte le Aree Nielsen, con un maggiore contributo da parte della 4 e della 2. I traditional grocery – le panetterie – crescono a valore [+0.7%] grazie all’aumento dei prezzi medi, a fronte di un calo dei volumi dello 0.6%. Cambiano modalità di consumo, più saltuario e orientato alle “specialities”, e aumenta la disparità di frequentazione dei canali in termini di frequenza e, anche in questo caso, il dettaglio tradizionale soffre. Dopo il giornalio anche il panettiere molto spesso non è più un mestiere con un equilibrio corretto tra quantità di lavoro dedicato e ricavi. Non è solo una questione di business ma anche di identità sociale nel Paese dei mille campanili orami frantumata. Oggi ci appare il segno inevitabile della “modernità” ma ci costerà cara, molto più cara di quanto possiamo immaginare oggi.
  • E-Government – Migliora l’eGovernment in Italia, ma il quadro è a luci e ombre: l’innovazione nella PA avanza a singhiozzo, ad essere benevoli. Questo è quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano  che ha studiato il processo di semplificazione e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana attraverso 6 diverse survey.  Solo il 4% dei Comuni è un vero “Digital Champions”, mentre il 35% è totalmente “Non Digital”, ma nei fatti il 30% della popolazione italiana non può interagire online con la Pubblica Amministrazione Locale perché non ci sono servizi interattivi. Ed ancora, solo il 44% ha almeno un progetto in corso e il 78% non ha un ufficio tecnico dedicato ai progetti di eGovernment. Anche per quanto riguarda l’eprocurement  la gestione del processo d’acquisto è ancora eterogenea e non va molto meglio per la scuola con una bassa diffusione dei software a supporto dei processi didattici e in media oltre il 70% dei processi gestito attraverso l’uso del cartaceo. Cruciale in tal senso il ruolo del team per la trasformazione digitale, la struttura commissariale istituita per supportare la PA nel processo di digitalizzazione, il cui lavoro non resta che augurarsi che sia sempre più incisivo. Ne abbiamo davvero un gran bisogno, pare.
  • Un Metadato ti Perseguiterà – Il Parlamento vuole allungare a 6 anni la conservazione di tabulati e dati internet. Un emendamento approvato alla Camera, se confermato al Senato, estenderà a 72 mesi la data retention. Secondo quanto scrive Carola Frediani, un riferimento assoluto su queste tematiche, il tempo di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico, che ora sono rispettivamente di due anni e un anno, potrebbero presto fare un balzo in avanti estendendosi a sei anni, 72 mesi appunto. Ma di quali dati stiamo parlando? Non del contenuto delle conversazioni ma dei loro metadati, dei dati che si riferiscono alle stesse. Quindi per il traffico telefonico si tratta di informazioni come mittente, destinatario, data e durata di una chiamata, cella telefonica ecc. Per quello telematico di data e ora della connessione e disconnessione, indirizzo IP – ma non i siti visitati o gli Ip di destinazione, assimilabili a “contenuti” della comunicazione. «In Italia i metadati sono acquisiti per qualsiasi cosa», commenta al riguardo l’avvocato Blengino,  fellow del Nexa Center for Internet & Society di Torino, «E non serve l’autorizzazione di un giudice, basta il decreto del pm». Concludendo, «anche se la norma individua i reati per cui sarebbe finalizzata la data retention, gli operatori dovranno tenere tutto di tutti. E non riesco a immaginare che l’accesso indietro nel tempo, allo stato attuale, verrà davvero limitato sulla base della tipologia di reati». Il grande fratello di Orwell era acqua fresca rispetto a quel che ci attende.
  • Infotainment – Le riviste scandalistiche sono dispensate dal vaglio etico-morale cui vengono, invece, incessantemente sottoposte favole, pubblicità, fiction, film, libri, calendari, giocattoli e, soprattutto, sono immuni alle abbondanti iniezioni di politicamente correttofunzionale alla correzione dei pregiudizi che giustificano e sorreggono gli stereotipi [di genere, soprattutto, ma non solo]. Le colonne di Repubblica e del Corriere ripubblicano spesso le foto che i paparazzi rubano alle celebrità e, altrettanto spesso, vengono criticate dai propri lettori o dal vasto pubblico di commentatori seriali dell’etere. Chi, invece, ad esempio, non scandalizza nessuno. Eppure, è un giornale con migliaia di lettori, fa numeri che moltissimi quotidiani non possono far altro che invidiare. Per Signorini, la cronaca rosa rappresenta una delle più consistenti zattere che potrebbero traghettare l’informazione verso la salvezza, perché «i giornali non devono mai venir meno a un dovere: l’evasione». Rintronati da una forsennata comunicazione di fatti e notizie principalmente ansiogeni, ai lettori non resta altro che tuffarsi nella cronaca delle vacanze a Formentera di Ilary Blasi. Tesi che dalla prospettiva di Signorini non è affatto irragionevole. Può darsi che la risposta stia nel fatto che i facili nemici, consunti dal continuo addebito sul loro conto di tutti i mali sociali, sono assenti dalle riviste scandalistiche. Una cosa è certa, a mio avviso, si tratta di un aspetto che, comunque la si pensi, traccia una linea di demarcazione netta tra ciò che è informazione [di qualità] e ciò che è infotainment. Una linea di demarcazione passata così tante volte dagli stessi quotidiani alla spasmodica caccia di click da spingere lo stesso Signorini, riferendosi alle edizioni online dei quotidiani italiani, ad affermare in un’intervista che «sulle loro terze colonne, vedo cose che io non metterei mai su Chi». Ecco!

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