Portata & Impatto di Celebrities, Brand Ambassador e Micro-Influencer

Se l’influencer marketing è un’area di questa disciplina in rapidissima espansione altrettanto lo sono le polemiche relative al fatto che si tratti di “pubblicità occulta”.

Dopo che negli Stati Uniti la Federal Trade Commission, agenzia governativa, indipendente, di protezione dei consumatori ha richiamato alcune celebrities ricordando a 90 di loro di comunicare con chiarezza quando i loro post sui social, ed in particolare su instagram, sono sponsorizzati, realizzati a fronte di un corrispettivo economico, è stata proprio la piattaforma di foto [e video] a mettere nero su bianco nuove regole che ne disciplinino l’attività.

La situazione appare incandescente, diciamo, anche nel nostro Paese con qualcuno che scrive addirittura che «la pubblicità occulta è sotto scacco» in riferimento alla denuncia dell’Antitrust per pubblicità occulta sui social a Belen, Fedez, Melissa Satta e Anna Tatangelo, e uno studio associato di avvocati che lancia un “think-tank” di confronto e analisi sulle problematiche inerenti la questione.

Se l’iniziativa dello studio di avvocati appare più come un’operazione di inbound marketing per attirare nuovi clienti a fugare ogni dubbio sul fatto che in realtà si tratti di una forma di comunicazione che esiste da tempi lontani, da quando negli anni sessanta la Fiat propose ai tassisti di acquistare a prezzi scontatissimi la 600 aprendo una consuetudine che dura ancora oggi, arriva l’ottimo articolo dell’amico Gigio Rancilio che si fa carico di ricordarlo.

Se non vi è dubbio che una norma che disciplini la questionè è assolutamente auspicabile, sul tema grande è la confusione sotto il cielo [ma la situazione NON è eccelente, contrariamente a quanto diceva Mao] a cominciare dalla terminologia. Infatti, quando si parla di influencer è opportuno distinguere tra tre livelli: celebrities, brand ambassadors e micro-influencer. Distinzione che non è solamente di lessico ovviamente ma che assolve ad obiettivi di comunicazione distinti come sintetizza ottimamente lo schema sottostante, e le sue ulteriori possibili declinazioni che avevamo pubblicato a fine 2016.

Personalmente sono convinto che l’accanimento nei confronti della questione da parte dei legacy media, che sollecitano le istituzioni a normare questa pratica, sia l’ennesimo segnale della loro perdita di rilevanza con l’inversione della piramide dell’influenza, sancita definitivamente da Edelman ad inizio 2017, che minaccia i già traballanti conti dell’ex industria dell’informazione, come testimoniato, in caso di bisogno, dalla “rivolta” delle giornaliste di Vogue contro le “fashion blogger” già l’anno scorso.

Lo spiega bene Michele Boroni quando, a conclusione di un suo articolo sul tema di recente pubblicazione, scrive che «se l’obiettivo è quello di limitare la “pubblicità occulta”, potenzialmente pericolosa per gli utenti internet, sappiate che è una battaglia persa in partenza e, sostanzialmente, inutile, perché l’utente finale [specialmente quello più giovane] è decisamente più informato ed evoluto delle istituzioni che cercano di “difenderlo”».

Dal mio punto di vista la vera domanda è se questa forma di comunicazione, aggiornata “sfruttando” la Rete e i social funziona o meno. Interrogativo relativamente al quale arrivano i dati di  GlobalWebIndex che ha indagato a livello internazionale, Italia inclusa, su quale sia l’effettiva influenza delle celebrities.

Dai dati pubblicati emerge come le celebrities, sostanzialmente “nouvelle vague” di quelli che una volta era i testimonial, siano, in particolare per coloro tra 16 e 34 anni, ma non solo, un buon veicolo di brand awareness, con poco meno di un quinto dei rispondenti che, come mostra l’infografica sotto riportata, che «scoprono brand e prodotti grazie ai post delle celebrities che seguono sui social».

Se per quanto riguarda i brand ambassador invece si tratta di determinare il “Digital Advertising Value Equivalent”: una precisa valorizzazione del costo che l’azienda avrebbe dovuto sostenere per ottenere la medesima copertura con il “pay per post” per definirne l’efficacia, ritengo che per la maggior parte delle imprese, specie quelle che hanno “fast moving consumer goods, ma non solo, dovrebbero utilizzare in maniera di gran lunga superiore rispetto a quanto avviene oggi in Italia, i micro-influencer che hanno di fatto singolarmente una reach inferiore ma un livello di influenza invece superiore e dunque una maggior efficacia.

Che la comunicazione tra pari sia quella che “da sempre” è di maggior efficacia non è certamente una novità, ora che esistono piattaforme ad hoc in tal senso si tratta di dotarsi di un codice etico. Sempre di più le aziende cercheranno non tanto i Vip famosi sul digitale ma micro influencer, con meno fan/follower ma molta più credibilità. Chi avrà credibilità, avrà successo. Verso un pubblico meno numeroso ma più scelto. E per questo più efficace. Vale per gli influencer come per i mass media.

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