Il Funerale del Social Media Marketing

Negli ultimi mesi sui social, e più in generale in Rete, vengono condivisi i post di una impresa di onoranze funebri con sede a l’Aquila. I commenti sono tutti positivi, di apprezzamento, tanto che qualcuno è arrivato addirittura a definirli geniali.

Purtroppo il social media marketing è un ambito dove è avvenuto quello che succedeva con la realizzazione dei siti web una decina di anni fa. A validi professionisti ed agenzie di comunicazione si sono affiancate nel tempo improvvisati che siccome passano la giornata su Facebook, complice la crisi, hanno deciso di mettersi sul mercato per fare, secondo loro, social media marketing, appunto, e i risultati si vedono.

Come, tra gli altri, dico da tempo [vd slide 6], il problema è che nel social media marketing la parola, il termine che fa la differenza è marketing. Va da sè dunque che la comunicazione su social deve essere integrata in una più ampia strategia di digital marketing che a sua volta sarà una delle leve di marketing dell’impresa per il raggiungimento degli obiettivi generali dell’azienda e/o del brand specifico della stessa.

Nel caso di Taffo, se siete del mestiere avevate capito già a chi mi riferivo, questo non avviene. In primis escludo nella maniera più assoluta che al momento di seppellire un proprio caro ci si ricordi di quanto era spiritosa e divertente la comunicazione sui social dell’impresa in questione.

Non è naturalmente, come d’abitudine, solo una mia opinione basata sull’esperienza ma vi sono anche dati e ricerche che dimostrano come le persone non acquistino in generale da brand che sono “cool” sui social. A maggior ragione se si tratta di questo specifico “mercato”, senza tralasciare che l’impresa è a L’Aquila, località che come tutte le cittadine di provincia probabilmente ha residenti con una mentalità meno “aperta” della media e che è ancora una volta da escludere che da Roma [o da qualsiasi altro posto, eh!] uno vada a comprarsi la bara in Abruzzo perche “son tanto spiritosi e simpatici”.

A questo si aggiunga che la comunicazione sul sito web, che non ha neppure un’area blog, è invece assolutamente di tipo tradizionale per un’impresa di questo genere, e dunque vi è un disallineamento tra quanto viene comunicato sui social rispetto al sito.

Ad abundantiam, risulta evidente un’assenza di strategia di canale per ciascun social dove vengono postati fondamentalmente gli stessi contenuti su Facebook, Twitter ed Instagram ed anche la frequenza di pubblicazione è molto simile. Altro evidente errore.

Se già la campagna social di Carrefour aveva dimostrato che il “famolo strano” quasi mai funziona, immaginare di farlo per questa tipologia di brand, di azienda è follia da dilettantismo professionale gravemente colpevole. Se poi ci vanta anche diventa patologico.

Prendetevi il tempo necessario a studiare con la dovuta attenzione questa “mini case study” per comprendere che una buona architettura di marca e la relativa declinazione a livello di brand personality, concetto che travalica la “vecchia idea” di brand positioning, non si improvvisa, e se vi interessa approfondire, naturalmente, contattateci.

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