Fare inchiesta su Instagram: un altro giornalismo, per un pubblico diverso

Raccontare un’inchiesta su Instagram è giornalismo? Oppure investire sull’ennesimo new media è solo un altro segnale della deriva del giornalismo verso l’entertainment, sulla scia di quanto già successo con l’informazione televisiva?

“Visual Storytelling su Instagram” è stato uno degli workshop più affollati dell’ultimo Festival del giornalismo di Perugia. Lanciata nel 2010, l’app Instagram è del resto la piattaforma social dalla crescita più dirompente dell’ultimo triennio. Parliamo infatti del terzo network in assoluto sia nel mondo (600 milioni di utenti attivi al mese) che in Italia (11 milioni, con una percentuale di crescita del 40% dal 2015), con picchi di gradimento consistenti tra gli under 30.

E quando a Perugia, in chiusura dell’incontro, dal pubblico si è levata qualche perplessità sull’effettiva attitudine del mezzo alla cronaca giornalistica, Lila King, director global news&publisher partnerships Instagram, ha potuto permettersi di non battere ciglio: “l’idea è semplicemente usare le stesse regole e principi del giornalismo e applicarle su un’altra piattaforma”. E quanto mostrato nei tre quarti d’ora precedenti sembrerebbe davvero darle ragione.

Instagram è già un social media utilizzato per scopi giornalistici. Ad esempio, attualmente è il canale principale di pubblicazione di un’inchiesta per una delle testate più famose e di più grande tradizione del panorama mondiale, il settimanale Time. Il progetto si intitola Finding Home (qui la pagina sul sito del magazine e l’account Instagram) ed è condotto da tre videogiornaliste, di cui una, Francesca Trianni, ha affiancato Lila King nel workshop di Perugia.

Finding Home racconta, attraverso le immagini, la storia di due famiglie di rifugiati siriani e dei loro tre bambini, due dei quali sono nati a progetto in corso, con tanto di racconto delle gravidanze e delle nascite. L’inchiesta, raccontata con l’hashtag #TimeFindingHome, è iniziata due anni fa e le foto e i video pubblicati su Instagram sono naturalmente l’esito di un intenso lavoro di reporting e di relazione con le famiglie. “Abbiamo utilizzato tutte le modalità di format consentite dalla piattaforma”, ha detto Trianni durante il workshop. “Instagram live ad esempio ci ha permesso di rispondere alle domande dei follower, avere una relazione con loro”. Più in generale, ha aggiunto “le persone ci hanno seguito perché stavamo raccontando storie di valore”.

Naturalmente, la peculiarità di una narrazione giornalistica visual e social ha generato criticità e allo stesso tempo anche opportunità inusuali rispetto a quelle della cronaca tradizionale. Ad esempio, l’assegnazione di una delle due famiglie in Estonia ha generato, nei rifugiati, alcuni timori verso una destinazione così lontana e diversa dalla propria terra d’origine. E tale paura ha prodotto dubbi sul fatto di raccontare o meno questa loro reazione su Instagram, sul come raccontarla. L’interazione con i follower è stata però positiva: nei  commenti, alcuni follower estoni hanno “rassicurato” i protagonisti dell’inchiesta, e così l’account social è stato perfino un canale di mediazione culturale. Il che ha consentito il generarsi di un’empatia particolare con il pubblico, forse più immediata rispetto a quella possibile con il racconto cartaceo.

“Sapevamo che Instagram era perfetto per quello che volevamo raccontare perchè valorizza le immagini e poi perché, molto più di altre piattaforme, consente di creare una community reale che interagisce”, ha spiegato Francesca Trianni. “Con i colleghi della rivista cartacea” ha raccontato “non c’è comunque tensione o concorrenza: lavoriamo insieme ma su spazi diversi. I follower su Instagram approdano poi spesso al sito del Time, ma sono un pubblico diverso da quello della carta stampata”. Ed uno dei punti di forza di #TimeFindingHome, progetto finanziato Pulitzer Center on Crisis Reporting, è innegabilmente proprio questo: consentire al Time di aspirare a raggiungere un pubblico che non acquisterebbe la rivista cartacea.

Queste, in conclusione, le “Five Things to remember” che Lila King ha raccomandato ai giornalisti:

  1. “Publishers can build young, engaged audiences on Instagram”. Su Instagram c’è un pubblico nuovo, giovane, diverso, fidelizzato, che gli editori non raggiungerebbbero con la carta stampata
  2. “News on Instagram is different: it’s personal, collective and active”. Per sua stessa natura Instagram si presta, grazie agli hashtag, alla possibilità di contribuire con post personali a una storia collettiva, e quindi ad interagire in tempo reale su un medesimo argomento con contenuti visual e scritti provenienti tanto dalla testata quanto dagli utenti.
  3. “Grow with frequency: video, stories, precision”. I nuovi format consentono di diversificare la programmazione e creare occasioni periodiche di interazione e di crescita della propria community.
  4. “Don’t overproduce: Real > perfect”. Più di altre piattaforme social, Instagram privilegia l’autenticità del contenuto e l’orizzontalità della relazione con i follower.
  5. Turn on 2-factor authentication. Attenzione alla privacy: grazie alla doppia autenticazione il proprio account viene collegato a un numero di telefono e messo in sicurezza.

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