L’interesse nei confronti di quello che convenzionalmente viene chiamato influencer marketing è in costante crescita. Secondo Google Trends le ricerche sul tema sono cresciute in maniera esponenziale negli ultimi 12 mesi. Un dato che non sorprende considerando che da sempre il passaparola è il veicolo più efficace di comunicazione e che da tempo immemorabile le imprese cercano un modo per sfruttarlo a proprio vantaggio.
Il più delle volte però si implementano strategie ed azioni di influencer marketing utilizzando celebrities, quali Chiara Ferragni per intenderci, o esperti e opinion leader di un determinato settore. Modalità che ripropone sotto forma diversa una comunicazione top down che tendenzialmente funziona meno di quella della comunicazione tra pari.
Lo studio: “The 2017 Facebook User-Generated Content Benchmark Report”, condotto su 25 milioni di user generated post su Facebook tra Gennaio e Dicembre 2016, su un milione di micro-influencer – coloro che hanno tra 500 e 5000 contatti sul social più popoloso del pianeta – aiuta a comprendere come invece sia rilevante il valore dei micro-influencer.
Come noto i cambiamenti all’algoritmo che regola i meccanismi di quello che ciascuno vede nel news feed di Facebook hanno ridotto visibilità, e di riflesso engagement, dei post dei brand. Secondo la desk research questo ha determinato anche un calo significativo complessivo dell’engagement dei post con una flessione del 7.87% dei like, il – 37.47% di commenti ed un calo del 27.80% delle condivisioni. Trend che, come mostra il grafico sottostante, pare essersi arrestato a partire dal Settembre 2016.
Attualmente ci sono sostanzialmente tre modi per i brand per diffondere i propri contenuti su Facebook:
- Pubblicare un post sulla propria fanpage, con una reach che mediamente è tra l’uno ed il due percento della propria fanbase
- Pubblicare un post sponsorizzato, o comunque un annuncio a pagamento, colpendo mediamente tra l’uno ed il due percento del proprio pubblico di riferimento, dell’audience in target
- Quando una persona pubblica un post che nomina il brand, raggiungendo così mediamente il trentacinque percento dei propri contatti.
Dati che non lasciano dubbi su quale sia il veicolo più efficace di comunicazione. È chiaro che la maggior opportunità risiede nel far diffondere su Facebook, ma ovviamente vale anche per gli altri social, il brand ed i contenuti ad esso associati dalle persone ottenendo così maggior visibilità ed engagement.
Dalla ricerca emerge come coloro che hanno tra 500 e 1000 “amici” su Facebook abbiamo un tasso di engagement nettamente superiore a coloro che invece ne hanno tra 2mila e 5mila. Inoltre emerge come un contenuto, che cita un brand o contenuti ad esso associati, postato direttamente su Facebook dalle persone ottiene un tasso di coinvolgimento di gran lunga superiore anche a quando la stessa persona condivide un post dalla fanpage di quel brand.
Ovviamente il tutto dipende dal tipo di prodotto, o servizio, che intendo promuovere. Nel caso di prodotti di largo consumo e/o di brand che hanno un ampio pubblico di riferimento non vi è dubbio che sia di gran lunga più interessante una campagna su migliaia di micro-influencer che non attraverso delle celebrities. Non a caso anche i dati di Edelman confermano l’ormai conclamata inversione della piramide dell’influenza.
Si tratta di aspetti di grande interesse ed enormi potenzialità sulle quali, assieme ad altri, sto lavorando da diversi mesi relativamente ai quali confido di generare un output a breve. Come si suol dire in questi casi, stay tuned.
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