Nell’ultimo periodo i brand sembrano aver recepito una delle più grandi opportunità dei social media: l’ascolto.
Se per diversi anni le piattaforme sono state utilizzate come megafono per i contenuti o strumenti di branding, pare che finalmente si stia ponendo l’attenzione sulle opportunità di tracciare quanto le conversazioni ci offrono come valore strategico.
In questo articolo mi interessa menzionare 3 casi specifici, per ragionare su quanto queste strategie possano essere di assoluto valore, ma non da utilizzarsi senza cognizione di causa. In linea di massima ascoltare le istanze del nostro pubblico, o dei potenziali clienti, è sempre consigliabile.
Si tratta di un’attività che vive due tipi di complessità: la prima di carattere metodologico, perché si rischia di incorrere in un errore abbastanza diffuso: considerare i social come fedele fotografia del mondo e non finestra sul mondo.
La seconda è di carattere tecnico. Negli ultimi anni l’analisi delle conversazioni ha spinto molto sulle tecniche di individuazione di polarità – sentiment – che al netto di quanto possano restituire risultati lusinghieri o deprimenti, non offrono informazioni di carattere strategico.
Fare Social Listening è qualcosa di complesso e, per ora, non abbiamo note su come i brand stiano mettendo in campo questo tipo di tecnica.
Repubblica ha appena lanciato la nuova veste del sito ufficiale, presentandolo con testuali parole “Più chiara, ordinata, flessibile e veloce: è online la nuova homepage, costruita insieme ai lettori”.
In buona sostanza Repubblica afferma di aver messo in campo una rivisitazione del sito sulla base delle istanze del pubblico, evidentemente reinterpretate in modo autonomo per soddisfarne le esigenze e le richieste.
Più che strategia di listening, si tratta è trattato di una raccolta di idee, fatta a mezzo mail, sulle quali poi si è lavorato alla realizzazione.
Inoltre dichiarano di aver vagliato “2mila questionari” e fatto testare la home a 50mila utenti. Una metodologia di ascolto a metà tra il vecchio e il nuovo che ha comunque prodotto delle migliorie.
Il risultato, dal mio personalissimo punto di vista, sembra essere soddisfacente, in quanto non va a stravolgere la struttura ma lavora su dettagli di design e funzionalità del sito che si fanno apprezzare.
Un ulteriore caso interessante è quello di Nokia di cui sicuramente avrai sentito parlare dell’operazione nostalgia del 3310. Un’operazione che per certi versi richiama più l’esperienza di Winner Taco che altro.
Il nuovo Nokia 3310, che in realtà è prodotto da HMD che ha acquistato da Microsoft i diritti di produrre a marchio Nokia, sembra nascere dalle conversazioni in rete e quella fenomenologia del vecchio telefono indistruttibile e dalle prestazioni (di batteria) ormai fuori dal tempo.
Così tornano Snake, la tastiera a pulsanti e una batteria che in standby è capace di durare un mese. Il device sembrerebbe strizzare l’occhio ai meno giovani, di cui parte potrebbe non essersi ancora abituata agli smartphone.
Il corto circuito si potrebbe realizzare su un problema molto semplice: il 3310 per caratteristiche sembrerebbe guardare ai meno giovani, ma allo stesso tempo il grande sentimento di nostalgia affidato al web che ne ha innescato la rinascita è stato ad opera di coloro che, forse, non lo utilizzerebbero mai: i 30enni tutti samsung&iphone.
Il terzo e ultimo caso in cui s’è registrata un’attività di listening è meno recente ed è Plasmon. Ormai diversi mesi fa, nel bel mezzo del delirio generalizzato sull’olio di palma, Plasmon ha messo in campo una vera e propria campagna di comunicazione, con tanto di sito web dedicato, denominata “Ti abbiamo ascoltato” con cui ha sostanzialmente radiato l’olio di palma dai prodotti sentenziando “il biscotto Plasmon è Palm Oil Free”.
Delle tre esperienze questa sembra essere quella tecnicamente meglio congegnata, facendo leva espressamente sulle istanze palesi del proprio pubblico, che vengono anche richiamate sul sito Tiabbiamoascoltato. Una strategia che però cozza non poco con i chiarimenti che gli organi competenti hanno fatto nei mesi seguenti, rispetto all’allarmismo rivolto all’utilizzo di olio di palma.
Una linea decisamente opposta a quanto messo in pratica da Ferrero, che a partire da posizioni sostanzialmente omologhe, ha scelto di difendere la propria ricetta tradizionale, investendo in una campagna pubblicitaria che non la rinnegasse, ma la avvalorasse.
Di tutto quanto questo c’è sicuramente da salvare un approccio all’ascolto che sembra – finalmente – emergere con una certa consistenza.
L’errore in cui non bisognerebbe incorrere è quello di allinearsi in modo non cosciente a quanto si evince dal pubblico di riferimento, valutando circostanze e contesti in cu può essere utile o meno perseguire questo tipo di strategie. Il cliente ha quasi sempre ragione. Quasi.
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