Sono stati pubblicati i risultati di “Influence 2.0: The Future of Influencer Marketing”, ricerca condotta nell’estate del 2016 da Traackr e TopRank, sotto la guida di Brian Solis. Lo studio è stato effettuato sia attraverso le interviste a 106 marketers di grandi imprese, quali ad esempio Microsoft, American Express, 3M ed Amazon, e aggregando i dati di diverse fonti [elencate in appendice al rapporto].
La struttura dell’influenza ha una forma a diamante e non piramidale come eravamo normalmente abituati a credere; l’ipotesi comune secondo la quale pochi influenzatori, i cosiddetti opinion leaders, con molte connessioni dirette ed indirette sarebbero in grado di influenzare una vasta proporzione della popolazione appare inaccurata suggerendo invece un ruolo ed un potenziale significativo alla maggioranza costituita dai “moderately connected”. Questo è il vero impatto che gli users generated media ed i social stanno avendo sulla struttura della comunicazione, delle relazioni e, quindi, dell’influenza.
L’influencer marketing, che sicuramente esploderà nel 2017, è ancora ad uno stato primordiale anche all’interno delle grandi impresee molti brand sono ancora ad uno stadio iniziale di comprensione di cosa sia l’influenza. Non a caso proponevo una “mappa mentale” di cosa sia l’influenza come base di partenza di comprensione del fenomeno.
Ciononostante per ben il 71% degli intervistati l’influencer marketing è strategico o addirittura fortemente strategico ed nel 55% dei casi i responsabili marketing della grandi imprese succitate pianifica di investire maggiormente su questa leva a partire dal 2017. Percentuale che sale al 67% per i brand che investono più di 250mila dollari all’anno in influencer marketing e raggiunge addirittura il 77% per quelle, poche, aziende che hanno un livello di maturità e di consapevolezza maggiore alla media al riguardo.
La pianificazione e lo sviluppo delle azioni di influencer marketing all’interno delle organizzazioni investigate è delegato alle funzioni di marketing o di PR mentre a chi gestisce la parte di digital marketing e/o social media marketing viene affidata la gestione operativa delle campagne, delle azioni di comunicazione. Elemento che conferma ulteriormente come quest’area venga, appunto, considerata di rilevanza strategica.
L’obiettivo principale delle azioni di influencer marketing è quello di migliorare la brand advocacy, seguito dall’incremento della notorietà di marca e il raggiungimento di nuove porzioni di pubblico. Colpisce, proprio in riferimento alla brand advocacy, come invece, ancora una volta sia trascurata la parte relativa al personale dell’impresa che, come mostra la chart sotto riportata, è relegata al fondo. Un errore strategico che emergeva già dallo studio, sempre di Altimeter, “The 2016 State of Social Business”. Nel 2017 è ora davvero che marketing e risorse umane si parlino tra loro, e si capiscano, finalmente. Aspetto, giustamente sottolineato da Michael Brito, Head diUS Digital Lewis [la nota marca di jeans] che afferma: «A social business needs technology in order to facilitate change and collaboration. Change management is the foundation of a fully collaborative social business. It addresses the need to drive organizational change in an effort to shift employee behavior, communicate more effectively across job functions and geographies and tear down organizational silos»
Per evolvere, è necessario considerare la persona, non solamente la dimensione della sua comunità. È necessario pensare sulle persone che definiscono la comunità e perché essi vi appartengono, e non solamente la numero di visualizzazioni ottenute o la dimensione dell’audience.
Le relazioni con gli influencer richiedono una nuova valutazione del catena del valore. É necessario ingaggiare le persone giuste per generare il giusto vantaggio di creazione di valore, non solo per il brand, ma anche per le relazioni che gli influenzatori mantengono con la loro comunità, elementi che dovrebbero servire come base per qualsiasi programma di influencer marketing. È necessario fare di più che utilizzare i rapporti di altri per trasmettere il proprio brand, a prescindere dall’eventuale pagamento. Questa “Influenza 2.0” rappresenta un significativo aggiornamento che migliora l’esperienza utente – sia per influencer che per il brand, l’azienda – generando miglioramenti nelle prestazioni complessive per il brand.
Sul tema da incorniciare le parole di Simon Sproule, Chief Marketing Officer della Aston Martin, che dice: «It’s about relationships that add value to our customers, create new and exciting opportunities, and relationships that are symbiotic. We’re not interested in taking a well-known face and giving them a cheque, as we are always centered on authenticity and being true to our brand».
In conclusione il rapporto indica 10 punti per le buone pratiche de “l’influenza 2.0”:
- Partire dai risultati
- Allineare il proprio lavoro – di marketer – con l’organizzazione interna e gli stakeholder
- Mappare il customer journey per le specifiche relazioni d’influenza
- Identificare le principali ricerche e domande della clientela “top”
- Sulla base dei comportamenti, scoprire dove il pubblico di riferimento sta andando per chiedersi chi sta fornendo le risposte e cosa fare in futuro
- Leggere e seguire il lavoro degli influencer
- Parlare ai clienti, alle persone
- Utilizzare strumenti IRM [Information and Records Management] per scalare i programmi di influencer marketing
- Usare le piattaforme IRM per allineare gli influencer al customer journey
- Misurare engagement, impatto e crescita
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