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Una sele­zione ragio­nata delle noti­zie di oggi su media, gior­na­li­smi e comu­ni­ca­zione da non per­dere.

Gli altri giorni della settimana que­sta rubrica è parte inte­grante di Wolf e dun­que viene pub­bli­cata gra­tui­ta­mente solo il venerdì. Se non volete per­der­vela potete abbonarvi per molto meno di un caffè al giorno. Per capire meglio cosa è Wolf potete leggere cosa dicono di noi quelli della World Association of Newspapers and News Publishers,  consultare gratuitamente lo “speciale” del 100° numero reso disponibile gratis online e leggere cosa ne pensa una nostra abbonata. Infine, il Corriere della Sera ha inserito Wolf nell’olimpo delle newsletter internazionali.

  • L’Unità Online NON Esiste – Come certamente saprete, l’Unità è in profonda crisi ed il rischio che il giornale chiuda è estremamente concreto tanto che Emanuele Macaluso, in risposta all’editoriale di Staino rivolto a Renzi, conclude con «In ogni caso, è ormai il momento di un confronto vero e reale, tra il segretario del Pd, gli imprenditori-editori e il direttore, con un solo punto all’ordine del giorno: che fare? Se fare. . .» e anche il CdR del giornale prova a “tirare la giacchetta” al ex premier nella speranza di salvare il salvabile, come direbbe Bennato. Ma quello che invece probabilmente non sapevate è che l’Unità online NON esiste. Infatti, il quotidiano di Gramsci in rete non esiste. Esiste solo un sito che prende il suffisso [unita.tv] dagli atolli polinesiani delle Tuvalu, non ha un direttore responsabile, non è dell’editore dell’Unità ma di altri [Eyu], la cui storia è davvero interessante, diciamo, e pubblica gli articoli del giornale di carta senza che vi lavori un giornalista del cartaceo. Conclude Matteo Bartocci, vice direttore de il Manifesto, che «si tratta di una gestione schizofrenica se non piratesca del brand Unità». Difficile dargli torto.
  • LinkedIn si “Facebookizza” – LinkedIn rinnova il “look and feeling” della propria versione per desktop. Le nuove caratteristiche sono: una nuova barra di navigazione con 7 aree [Home, Messaging, Jobs, Notifications, Me, My Network, e Search], miglior funzionalità dei messaggi diretti, newsfeed più ricco grazie all’intervento combinato dell’algoritmo e del personale della piattaforma, facilità della search, maggiori dettagli su “chi ha visitato il tuo profilo”, e suggerimenti per far emergere il proprio profilo. Novità che saranno progressivamente rese disponibili a tutti. In particolare, da quel che si capisce dal video che illustra le nuove caratteristiche, le icone delle 7 aree succitate saranno più grandi e, soprattutto, la finestra della chat sarà molto simile a quella di Facebook con LinkedIn che incoraggerà, per così dire, le conversazioni, suggerendo di chattare con persone con le quali si hanno relazioni, ad esempio all’interno di una determinata società, impresa. Servirà a ridurre il problema della piattaforma social del basso rapporto tra utenti iscritti ed effettivamente attivi? Secondo me no. Resta scritto.
  • Repubblica.it – Come scrivevo la scorsa settimana, “partenza con il botto” nel 2017, per il gruppo Espresso-Repubblica.  Tra le tante novità la nuova versione del sito di Repubblica con la beta visibile per oltre un mese aperta, su invito, anche ai suggerimenti dei lettori selezionati. Novità che Alessio Balbi, responsabile del sito, ha riassunto ieri anticipandone le logiche. Essendo tra i fortunati che hanno ricevuto l’invito a visionare l’anteprima [GRAZIE!] e a fornire il proprio contributo, lo faccio. Da quel che si vede sin ora, con il beneficio del dubbio che essendo “work in progress” vi siano ancora molti interventi da effettuare prima del rilascio della versione finale, lo dico subito NON mi piace. In primis è troppo lunga ancora. L’accento è posto, a mio avviso naturalmente, eccessivamente sulla home page. Un aspetto che non rispecchia la sempre minore importanza di questa con porta d’ingresso ai newsbrand. Non a caso al Guardian sono partiti disegnando i rami per arrivare al tronco, la home, non il contrario, come pare essere. Infine, soprattutto, la leggibilità, seppur migliore rispetto alla versione attuale, resta difficile. Per dirla in una battuta, proprio perché c’è un eccesso di enfasi sulla home page, c’è “troppa roba”, un eccesso di affollamento. Dovendo dare un suggerimento gratuito consiglio di dare un’occhiata più che al sito del Guardian, che è comunque interessante per la categorizzazione degli argomenti, al sito de El Pais che, oltre ad una categorizzazione dei temi forse migliore di quella del quotidiano inglese, ha un respiro tra un articolo e l’altro, tra un tema e l’altro, che migliora decisamente la leggibilità, così come, per non essere sempre “esterofili”, è il caso del sito de il Foglio, recentemente ridisegnato, bene. I miei “2 cent”. Fatene l’uso che credete, ovviamente.
  • Dal Click all’Acquisto – Capire il comportamento dei consumatori, lungo tutto il processo di acquisto, è una delle chiavi per un e-commerce di successo. Per aumentare le conversioni, infatti, è necessario acquisire più informazioni possibili sui clienti. Una delle metriche di cui tener conto è il tempo necessario affinchè un utente completi la transazione: il numero di minuti, ore e giorni di cui un visitatore ha bisogno per l’acquisto. Ma il tempo d’acquisto online può variare molto a seconda del paese europeo che si considera. E’ quanto emerge dalla ricerca effettuata da Shopalike, portale di shopping attivo sin dal 2009. La ricerca analizza questo comportamento in 12 paesi d’Europa: Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Norvegia, Polonia, Svezia e Slovacchia. Per quanto riguarda specificatamente il nostro Paese, emerge che, ad esempio, che per un vestito ci vogliono 30 minuti. Più di un altro prodotto amato dal pubblico femminile, il profumo, con 13 minuti, ma molto meno di un accessorio come gli orecchini. Per questi ultimi infatti c’è bisogno di 17 ore. Il prodotto più amato sembrano essere gli occhiali da sole, con solo 8 minuti. La decisione più ardua è per il tavolo, ben 83 ore.
  • [Ec]Citazioni – Tra pochi giorni Wolf compierà il primo anno e ieri abbiamo pubblicato, per gli abbonati, il 150° numero. Alberto Puliafito, amico e co-fondatore assieme al sottoscritto, e ad altri “visionari”, dell’iniziativa, in un articolo riassume il lavoro di questo primo anno di pubblicazioni. Con Wolf abbiamo teorizzato i pilastri del nostro modello di business. Abbiamo chiarito la nostra missione: mettere le persone al centro. Abbiamo testato possibilità di fare veramente conversazione con i nostri abbonati. Slow News e Wolf sono diventati, di fatto, anche due laboratori vitali e pulsanti. Wolf ha un gruppo di conversazione chiuso su Facebook, dove possono entrare, oltre agli abbonati anche i curiosi, previa approvazione dello staff, ha un canale Slack riservato in via esclusiva agli abbonati e, da poco, una pagina Facebook per scopi relazionali e di content marketing. Si impara, si sperimenta, si fa e si racconta quel che si fa. Nel nostro piccolo, esattamente quel che fa il NYTimes. Scusate per l'[ec]citazione.
  • I 4 Fattori di Successo di una Coalizione tra Editori– Creare alleanze può costituire, per i publisher, un modo di contrastare l’appeal pubblicitario di Facebook & Co. Ma perché progetti di questo tipo portino i risultati sperati, è necessario che i partecipanti abbiano determinate caratteristiche. Ecco quali: 1) Scalabilità – «Perché una coalizione abbia successo e sia competitiva, deve avere poter offrire una reach significativa – spiega Barnes -, diciamo oltre il 60% della popolazione online, perché è questo che Google e Facebook mettono a disposizione degli inserzionisti»; 2) Brand safety – «le alleanze hanno bisogno di includere siti rispettati e autorevoli su cui gli inserzionisti puntano ad essere presenti. Un’alleanza tra una moltitudine di property di medio livello con una non alta brand quality non è molto diversa da un normale ad network»; 3) Approcci “efficienti” – «Coalizione significa più efficienza, sia lato editori che lato inserzionisti»; 4) E “qualcosa in più” – Fornire qualcosa di aggiuntivo alle inventory che vendono, come nuovi segmenti di audience, un accesso first-look, trasparenza a livello di domini, o formati pubblicitari unici. Peccato che, come dimostra il pietoso caso di “Edicola Italiana”, non pare essere possibile.
  • Personal Branding – Come tutte le grandi celebrità e politici anche il fondatore e CEO di Facebook ha un team di professionisti che lo aiutano a curare il personal branding. La pagina Facebook di Mark Zuckerberg è gestita da una squadra di 12 persone che nel corso della giornata si occupano di curare nel dettaglio ogni aspetto: dalla scrittura di nuovi post alla moderazione dei commenti. Oltre ai responsabili della comunicazione che si occupano della scrittura dei post e commenti ed il team dedicato alla moderazione della pagina che ogni giorno si prende cura di eliminare i commenti molesti e lo spam vi sono poi una serie di fotografi che si occupano di immortalare il fondatore di Facebook nel corso dei vari eventi e incontri nel mondo [via]. Hai capito il ragazzo con le magliette tutte con lo stesso colore come si dà da fare…

[Cliccando sull’immagine avrete accesso al rapporto presentato a Davos in questi giorni sull’utilizzo di Internet a livello mondiale]

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