Pubblicati i risultati dellla 17esima edizione del “Edelman Trust Barometer”. Lo studio, condotto tra ottobre e novembre 2016 su un campione di 33mila persone di 28 nazioni diverse, Italia inclusa, indaga, come d’abitudine sulla fiducia da parte delle persone nei confronti del mondo degli affari, delle imprese, dei media, delle istituzioni e delle ONG. Oltre al campione succitato viene anche preso in esame di quello che Edelman chiama “informed public”, costituito da un nucleo di 200 perone per ciascuna nazione, che risponde ai seguenti criteri: di età tra 25 e 64 anni, alto livello di istruzione e di reddito, che legge, si informa, con una frequenza di più volte alla settimana. Un cluster di persone che pesa il 13% del totale delle popolazione dei Paesi presi in considerazione dalla ricerca.
Vi è complessivamente un capovolgimento dell’influenza. Un ribaltamento della vecchia piramide in cui l’autorità e l’influenza delle élite sia nella società in generale che dei media in modo specifico svolgono la maggior influenza sulla maggioranza della popolazione. Infatti, come mostra il grafico sottostante, nella sua indagine globale del 2016 l’85% del pubblico ha bassi livelli di fiducia nei confronti di autorità, élites e le istituzioni pubbliche, ponendo la loro fiducia invece in coloro che sono pari. Il restante 15 % del “pubblico informato” mostra invece un livello più elevato di fiducia.
Mentre la fiducia nelle ONG e nel mondo degli affari resta stabile rispetto all’edizione 2016 delle ricerca, quella nei confronti delle istituzioni e nei media cala. Il maggior calo di fiducia riguarda proprio i media che registrano una flessione di ben 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
La fiducia nei media ora è scarsa nell’82% delle nazioni prese in considerazione e in 17 Paesi è al livello più basso di sempre. Come mostra il grafico sottostante, il nostro Paese fa parte dei 17 in cui prevale le sfiducia nei confronti dei media che vengono vissuti come il “braccio” delle elite.
La fiducia nelle informazioni condivise da conoscenti e familiari è di gran lunga superiore a quella riposta negli “esperti accademici” e nei capitani d’industria. Bisogna parlare con, non a qualcuno. Aspetto che si concretizza anche per quanto riguarda la comunicazione d’impresa con una fiducia nei contenuti postati sui social media dai brand, dalle aziende che surclassa quella riposta nell’advertising tradizionale.
I media tradizionali, giornali ma anche TV e radio ovviamente, sono quelli che registrano la maggior perdita di fiducia, mentre cresce la fiducia negli “owned media”. Il brand journalism, quando fatto bene, funziona.
Così come era già emerso dallo studio dell’anno scorso, la maggior fiducia è riposta nei motori di ricerca, che poi, come sappiamo, vuol dire fondamentalmente in Google. A torto o a ragione, evidentemente le persone ritengono che le informazioni da loro reperite attraverso le ricerche siano migliori, o quanto meno offrano una prospettiva più ampia, rispetto a quelle fornite dai media ufficiali.
E’ chiaro che con un panorama di questo tipo le azioni di recupero devono essere tanto efficaci quanto implementate il prima possibile. Scrive Giuseppe Smorto, alimentando un interessante dibattito, che «Negli anni è cresciuto il tasso di protesta del cosiddetto potere: il titolo non è quello, cambiate quella foto, perché usate il verbo rimuovere e non sostituire. E oggi in piazza erano in dieci a contestare, e voi ci avete fatto il titolo. Specularmente è cresciuto il tasso di responsabilità e di attenzione, tanto che lo stesso lettore dice: era su Repubblica, e nemmeno lui sa o ricorda se l’ha letto sulla carta o sul sito». Mi pare possa essere, finalmente, un livello di consapevolezza dal quale ripartire, altro che “campagnette” stampa, che portano a siti che non esistono. Ora, o mai più.
Per semplicità di lettura, sotto riportata, l’intera indagine
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