Influencer Marketing Manifesto

Il potere del word-of-mouth è amplificato attraverso i social network. Nell’attualità, quando si sta valutando un acquisto, si ha un intero focus group da consultare tramite il nostro smartphone in qualsiasi momento. Un focus group che non è un qualche campione casuale. Si tratta di persone a cui tieniamo, che la gente ascolta ed in cui ha fiducia. Queste persone sono influencer, e attraverso la connessione sui social, quelle voci influenti possono essere praticamente chiunque [chiedere, ad esempio, a Daniele Chieffi la “storia” del pescivendolo ed il titolo Unicrediti]. Ovviamente ora più che mai i marchi stanno cercando di sfruttare questo potenziale.

Per capire meglio le opportunità di influencer marketing, Tapinfluence ha recentemente commissionato ad Altimeter  uno studio: “The Influencer Marketing Manifesto By Brian Solis”. La ricerca, condotta su oltre 1.700 influencer e 100 marketer, fornisce gli elementi per approfondire come ciascuna parte vede il capitale sociale, il perché, dove e come gli investimenti in influencer marketing, e quali cambiamenti devono avvenire per continuare, o iniziare, ad utilizzarlo a proprio vantaggio .

La ricerca di Altimeter rivela che l’influencer marketing è sul punto di diventare una delle più grandi categorie di investimento per il marketing di oggi, ma che, al fine di aumentare gli investimenti, le imprese e le marche hanno bisogno di capire meglio le proprie strutture interne per sostenere questi sforzi, ascoltare la se stessi e gli influencer, oltre che , naturalmente, le metriche di accesso il ROI delle campagne.

In particolare emerge che:

  • Il 71% dei marketer credono che l’ambassadorship sia la forma più efficace di influencer marketing, ma l’ambassadorship pare essere una minoranza delle campagne effettuate, con gli influencer che affermano come la principale richiesta che ricevono dai brand è per contenuti sponsorizzati.
  • Il 74% dei brand sta lavorando direttamente con influencer [o i loro gestori] su programmi di marketing influencer ed il 21% afferma che lavorano con un’agenzia per gestire i loro programmi.
  • Mentre complessivamente i brand riescono a lavorare direttamente con gli influencer, il 68% ha dichiarato che trovare influencer rilevanti è stata la loro sfida principale nel lavoro sul campo per riuscire a trovare modi che li aiutino a coinvolgere le proprie comunità, indicando il soddisfare le aspettative della dirigenza e negoziare i termini come la seconda e terza sfida più pervasiva.

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  • Il 72% degli influencer afferma che le marche che offrono un compenso inadeguato commettono il più grande errore. Ciò evidenzia la differenza nel lavorare con una social celebrity, rispetto a un fattore ai “middle influencer”. Si tratta di impatto. E l’impatto non è solo di potenziali impression.
  • Un’altra interessante discrepanza per gli influencer è la frustrazione che circonda l’enfasi e la sopravvalutazione implicita delle condivisioni sui social. Sopravvalutazione che è fastidiosa per gli influencer poiché molti di questi hanno costruito il loro pubblico attraverso i loro blog personali. Infatti, quando è stato chiesto di classificare la piattaforma più importante per i contenuti ad influencer ed ai responsabili marketing delle imprese questi ultimo hanno elencato i loro primi cinque: Facebook, Twitter, YouTube, Instagram e poi blog personale di un influencer. Dall’altro lato, il rovescio della medaglia, gli influencer hanno elencato: blog personale, Facebook, Instagram, Twitter e Pinterest.
  • Snapchat e Medium, entrambi molto “di moda”, di tendenza in questo momento vengono indicati come poco rilevanti sia dai marketers che dagli influencer.

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  • Quando è stato chiesto di effettuare il ranking di come si misura il successo, il ROI delle attività di influencer ed indicare quali dati che hanno valore, le prime cinque risposte dei marketers sono state: engagement [commenti, piace, condivisioni], brand awareness, aumento  delle vendite, il traffico al sito/landing page e la reach. Gli influencers alla stessa domanda hanno invece risposto: traffico del blog, le condivisioni dei loro post sul blog, like [o equivalente], ottenere di essere nuovamente ingaggiato dalla stessa marca e impression.
  • Quando è stato chiesto che cosa il pubblico ama di più del loro lavoro, il 71% degli influencer ha dichiarato che “io sono me stesso, onesto, divertente, aperto e disposto a parlarne come la vedo io”, come il principale dei motivi. La seconda e terza risposta più popolari sono state: Che fornisco valore affrontando le cose che sono interessati e che interagisco con loro, ascoltare e rispondere on-line. Già, una delle tante cose che brand e newsbrand, complessivamente, non fanno.
  • Infine, per il 41% dei marketers la mancanza di controllo sulla messaggistica, sul “mood” di comunicazione utilizzato dagli influencer, è una sfida per ulteriori investimenti, segnando un netto disallineamento tra le due parti. I marchi vogliono controllare messaggistica e contenuti, mentre invece la maggioranza degli influencer ritene che il marketing eserciti già troppo controllo.

Che il passaparola sia da sempre il veicolo di comunicazione più efficace è confermato da tempo immemorabile da qualsiasi ricerca sul tema. Sono fuori di dubbio dunque, in tal senso, le potenzialità dell’influencer marketing. Adesso si tratta, ancora una volta, di “trovare la quadra” tra il tanto legittimo quanto doveroso desiderio delle imprese di avere un ritorno dall’investimento rispetto a modalità di comunicazione che passano per nodi di coesione che difficilmente potranno essere imbrigliati nelle procedure aziendali. Non ditelo in giro ma ci sto, ci stiamo lavorando.

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