«Journalism as forum» is just important as «journalism as fact», il giornalismo come forum, come luogo di incontro e discussione è altrettanto importante del giornalismo come racconto di fatti e di notizie: una frase che andrebbe incisa e messa di fronte a ogni redazione di giornale (qualsiasi tipo di giornale). L’autore è David Paul Nord, che insegna giornalismo nell’università dell’Indiana (ma che ho scoperto in una bella presentazione di Paul Bradshaw, Online Journalism: Community).
Il valore di quel “forum” i giornali lo hanno conosciuto, i migliori di loro spesso ne hanno fatto il centro motore per anni. Poi qualcosa si è rotto. E il rapporto tra lettori e chi faceva informazione si è deteriorato e le testate sono state sempre meno interessate a rappresentare la propria comunità. E no, dare tutta la colpa a internet, al web e ai social media, non ci porta molto lontano, non ci aiuta a capire quello che è successo: «Sarebbe facile dire che il senso di comunità di Facebook e Twitter ha rimpiazzato quello dei quotidiani, ma l’erosione è cominciata molto prima» ha scritto il giornalista americano John Robinson ripercorrendo molto bene, in un articolo di qualche tempo fa, le ragioni di quella frattura (articolo strepitoso che consiglio di leggere).
Oggi che per le imprese editoriali la “coperta” di un modello economico tutto basato sulla pubblicità e sui grandi inserzionisti risulta essere decisamente troppo corta, è diventato ancora più evidente quanto si debba recuperare sul terreno nell’interazione con i lettori. Perché, non è così superfluo ricordarlo, anche se non porta direttamente soldi la comunità è sempre e comunque un elemento chiave del “business” di qualsiasi giornale.
Le politiche di community engagement, di ascolto e interazione con i lettori che utilizzano (anche) gli strumenti digitali possono fare molto su questo terreno. Ma dopo anni di sostanziale regime di monopolio del “prodotto” informazione nei giornali emergono ancora molti limiti “culturali”. Nel giornalismo online, ad esempio, di questi limiti ne è una evidente prova la difficoltà palesata tutt’oggi nell’utilizzo di due vecchi strumenti/simbolo di dialogo e apertura verso l’esterno come i commenti agli articoli e i link esterni visti ancora nelle redazioni, dopo oltre un decennio, soprattutto come dei problemi e non come delle risorse.
Sviluppare comunità intorno a sé (e crescere con loro)
Non è questa solo una questione per i giornali locali, ovviamente, o di mero giornalismo online, “comunità” è una delle parole chiave per chiunque voglia fare informazione oggi, in un periodo di transizione e di forte trasformazione sia dei media che delle modalità di fare e fruire giornalismo. Un testo fondamentale nel capire questa trasformazione come Post Industrial Journalism, non a caso, dedica molti passaggi al concetto di “community”. Una delle cose che più mi ha colpito a riguardo la scrive, in poche righe, Meg Pickard (all’epoca capo delle strategie di interazione digitale del Guardian). Sentite cose dice:
«Una delle principali qualità per un giornalista sarà quella di saper sviluppare comunità di interesse attorno a tematiche specifiche e generare una “micro fama contestuale”. I giornalisti devono sapere come creare delle comunità di conoscenza e di interesse che li aiutino a sviluppare una propria specializzazione».
Bene. Quindi, primo: è fondamentale avere la capacità di aggregare persone attorno ai temi di cui il nostro giornalismo si occupa. Secondo: se saremo capaci di interagire nel modo giusto saranno quelle stesse persone ad aiutare a far crescere la nostra conoscenza di quei temi ed argomenti. O se preferite, in maniera più diretta: se sapremo dialogare, creare relazioni di qualità con la comunità questa renderà migliore il nostro giornalismo.
La comunità insomma non è solo e semplicemente un’audience, un mercato da conquistare, e la conseguente quantità di page view o dei numeri di copie vendute da esibire a un responsabile marketing (che certo restano numeri importanti, ma vogliamo anche parlare della qualità delle relazioni generate?). Non è soltanto dei “mi piace” o dei “follower” da esibire sui propri profili social (magari ottenuti parlando alla “pancia” del lettore puntando sempre sulle contrapposizioni per sfruttare la competizione tra diversi schieramenti, senza aggiungere un grammo alla comprensione reale dei fatti).
La comunità è prima di tutto l’elemento principale attraverso il quale elevare la qualità, il valore del tuo lavoro.
Almeno di questo siamo convinti noi, e il progetto DataMediaHub con i suoi limiti, le sue ambizioni, lo abbiamo fin da subito pensato legato a doppio filo con la comunità di riferimento, tutti coloro che a vario titolo sono interessati a discutere la trasformazione dei media e dell’informazione in Italia. Abbiamo sempre pensato che funzionasse così: cercare di dare strumenti concreti per approfondire gli argomenti, poi discutere, confrontarsi, e poi ancora ascoltare, chiedere aiuto, cercare insieme dati e risorse.
Per questo nei prossimi giorni apriremo anche una sezione “Community” [update 17/07/2014: ci abbiamo messo un po’ di più di qualche giorno ma finalmente è attiva il link è sulla barra laterale], abbiamo scelto BuddyPress uno strumento particolarmente adatto a WordPress, il nostro CMS, ma anche molto ricco di funzionalità (forum, wiki, condivisione documenti, solo per citarne alcune) che abbiamo intenzione di implementare un po’ alla volta nel prossimi mesi (ne parlerò in un prossimo articolo). Cominceremo lanciando alcune discussioni e alcuni temi da approfondire. Ma la community interna al sito è solo un tassello (anche se davvero molto importante per noi).
L’interazione con i lettori, con voi avverrà anche attraverso i media sociali (che vogliamo curare sempre meglio) e anche con incontri “faccia a faccia”, visto che una delle cose che abbiamo capito delle migliori strategie digitali è la necessità di NON utilizzare solo strumenti digitali. Il resto è un lavoro da fare insieme. Cominciamo?
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