E’ stato diffuso ieri “Post-Industrial Journalism: Adapting to the Present”, rapporto della Columbia Journalism School, redatto da C.W. Anderson, Emily Bell e Clay Shirky, sullo stato del giornalismo e dell’editoria.
Il rapporto si basa su 21 incontri svoltisi ad aprile 2012 e sulle esperienze, di altissimo livello, dei tre autori che infatti, nel primo paragrafo dell’introduzione, spiegano che si tratta “in parte di indagine e in parte di un manifesto sulle attuali pratiche del giornalismo”, continuando “[il rapporto] non è sul futuro dell’industria dell’informazione, sia perchè una gran parte di quel futuro è già qui adesso che perchè non esiste più l’industria dell’informazione”
Il rapporto, liberamente scaricabile, si articola in 5 sezioni: introduzione, giornalisti, organizzazioni, ecosistema [dell’informazione] e conclusioni per un totale di 122 pagine tutte da leggere. Molto difficile farne una sintesi per il modo con il quale è stato concepito e scritto. Qui di seguito gli elementi, gli aspetti che personalmente mi hanno maggiormente colpito.
Introduzione:
Citando William Gibson, considerato l’esponente di spicco del filone cyberpunk, gli autori ribadiscono che “il futuro è già qui, è solamente distribuito in maniera non uniforme”. Vengono espresse forti preoccupazioni sulla riduzione della qualità dell’informazione statunitense e la convinzione che tendenzialmente le cose peggioreranno sotto questo profilo, auspicando che il rapporto possa essere utile a frenare questo decadimento evidenziando strumenti, tecniche e metodologie attualmente disponibili che dieci anni fa non lo erano.
Cinque i punti chiave:
- Il giornalismo è rilevante
- Il “buon giornalismo” è sempre stato sovvenzionato
- Internet ha rotto la parte di sovvenzione, di finanziamento, del giornalismo che era rappresentato dall’advertising
- La ristrutturazione è dunque forzata, inevitabile
- Ci sono molte opportunità per fare un buon lavoro giornalistico in nuovo modi
Giornalisti:
Comprendere la disgregazione nella produzione delle notizie e del giornalismo e decidere dove le risorse umane, lo sforzo, devono concentrarsi per essere efficaci è vitale per i giornalisti. Per comprendere quale possa essere il ruolo più funzionale, più utile dei giornalisti nel nuovo ecosistema dell’informazione è necessario dare risposta a due domande di fondo:
- Cosa fanno, o possono fare, di meglio i “new comers” rispetto a quanto veniva svolto dai giornalisti nel vecchio sistema mediatico
- Quale ruolo possono i giornalisti stessi svolgere, assolvere, meglio
Con l’avvento dei social media, di Twitter come newswire, del giornalismo partecipativo…etc, i giornalisti non sono stati ripiazzati ma riallocati ad un livello superiore della catena editoriale, passando [o dovendo passare inevitabilmente, aggiungo io] dalla produzione iniziale di osservazione della realtà a quella che pone l’accento sulla verifica e l’interpretazione, dando un senso al flusso di testi, audio, foto e video prodotti dal pubblico.
In tal senso i punti chiave sono:
- Accountability: Attendibilità, responsabilità del giornalista, del giornalismo
- Efficiency: Efficienza, in antitesi alla semplice disseminazione di informazioni
- Originality: Originalità, a livello di capacità di comprensione [e divulgazione] della realtà
- Charisma: Carisma. Le persone seguono persone, essendo “umani” i giornalisti si ritagliano un ruolo più potente nel nuovo ecosistema informativo.
Il rapporto, in quest’area, prosegue elencando gli “hard skill” necessari ai giornalisti e fonendo numerosissimi esempi al riguardo. In particolare si evidenzia la necessità di specializzazione, la capacità di leggere [e saper aggregare e interpretare] dati e statistiche, comprensione di metriche e audience, programmazione.
Particolare enfasi viene posta alla necessarie capacità di project management da parte dei giornalisti poichè nell’attuale ecosistema, ed ancor più in quello che è ragionevolmente prevedibile, i giornalisti sono, dovranno essere al centro di un sistema di produzione dell’informazione che dovranno coordinare, governare. Le differenze chiave rispetto al passato sono:
- Deadlines e formati sono senza limitazioni
- La locazione geografica perde di importanza nel processo di creazione e consumo delle informazioni
- Lo stream “live”, in tempo reale, di dati e l’attività social delle persone forniscono nuovi materiali da filtrare
- Il feedback in tempo reale influenza le storie e la sua narrazione
- Gli individui, le persone, diventano più importanti dei brand
Organizzazioni:
Le organizzazioni editoriali sono caratterizzate da tre fenomeni che nella maggior parte dei casi accadono simultaneamente: declino e collasso, rinascita e, soprattutto, capacità adattativa, adattamento al nuovo sistema.
Le organizzazioni producono fondamentalmente due tipologie di informazione: generica, relativamente ad eventi di pubblico dominio, e specialistica, realizzata per avere un impatto su altre organizzazioni sociali. La confusione e la tendenza giornalistica a combinare questi due aspetti della produzione di informazione rende difficile stabilire quale delle due sia prioritario preservare.
Secondo gli estensori del rapporto, quello che è mutato non è la dimensione dell’audience [termine che personalmente, al pari di target, abrogherei definitivamente] ma il modo di relazionarsi tra le organizzazioni e l’audience, tra giornalismo e la sua immagine dell’audience.
Viene elencato, ancora una volta con una ricchezza di esempi concreti straordinaria, cos’è e come si compone il capitale simbolico delle organizzazioni, e stressato il cambiamento nell’aspetto reputazionale in declino. Ampio spazio è dedicato ai cambiamenti sia organizzativi che tecnologici all’interno delle redazioni e per ciascun aspetto vengono formulate delle raccomandazioni conclusive, anche in questo caso, tutte da leggere.
Si evidenziano i due “dilemmi” di fondo che caratterizzano il giornalismo del 21esimo secolo. Da un lato il tanto discusso impatto di Internet e la lentezza di adattamento da parte delle organizzazioni. Dall’altro lato il meno dibattuto aspetto delle nuove forme di produzione delle notizie, dai “curated Twitter feeds” di Andy Carvin a tutte le altre forme e formati di cura dei contenuti complessivamente tanto sottoutilizzati quanto sottovalutati attualmente.
Come sottolineavo non più tardi di ieri, si richiama la necessità di identificare una pluralità di fonti di ricavo che badano oltre il binomio attuale.
I prodotti editoriali dovranno, devono, essere “hackerabili”, essere riutilizzabili il più possibile su altre piattaforme, altri device, in nuove storie e persino da altre organizzazioni editoriali. Elemento che, oltre a condividere assolutamente, evidenzia quanto anacronistica e di retroguardia sia l’attuale, ennesima, battaglia contro Google.
Ecosistema:
L’effetto principale dei digital media è che non c’è un effetto principale. Il cambiamento apportato dalla Rete, dagli smartphones e dalle applicazioni costruite è costi vasto e variegato da rendere impossibile l’identificazione di un solo elemento chiave.
L’importanza dell’informazione non sta scomparendo. La rilevanza di operatore professionali che vi si dedicano, i giornalisti, neppure va scomparendo. Quello che sta scomparendo è la linearità di processo e la passività dell’audience.
Parlare di un nuovo ecosistema dell’informazione significa riconoscere che attualmente nessuna organizzazione è padrona del suo destino. Relazioni stabilite altrove nell’ecosistema definiscono il contesto di ogni organizzazione; i cambiamenti nell’ecosistema mutano il contesto. Sul tema riporto testualmente un estratto che mi pare estremamente efficace nel descrivere la situazione:
The arrival of the internet did not herald a new entrant in the news ecosystem.
It heralded a new ecosystem, full stop. Advertisers could reach consumers directly,without paying a toll, and it turned out many consumers preferred it that way.
Amateurs could be reporters, in the most literal sense of the word—stories from the Szechuan quake to Sullenberger’s Hudson River landing to Syrian massacres were broken by firsthand accounts. The doctrine of “fair use,” previously an escape valve for orderly reuse of small amounts of content among a small group of publishers, suddenly became the sort of opportunity that whole new businesses of aggregation and re-blogging could be built on top of. And so on.
Anderson, Bell e Shirky negano l’imprevedibilità, spesso sostenuta per spiegare l’attuale crisi, richiamando previsioni sull’effetto di Internet per l’industria dell’informazione che partono addirittura dalla fine degli anni ’80.
I tentativi di reinstarurare il vecchi status quo oltre ad essere inutili sono persino dannosi. Ovviamente le organizzazioni devono fare ciò che possono, che sono capaci, per migliorare i loro ricavi ma la linearità, l’affidabilità dei ricavi del 20esimo secolo sono andati. Per i giornalisti e per le organizzazioni il controllo dei costi, la ristrutturazione verso un maggior impatto per ora o dollaro [anche euro ovviamente, eh] investito sono la nuova norma di un’organizzazione editoriale efficiente, il percorso che gli autori definiscono, da cui il titolo del rapporto, giornalismo post industriale.
Giornalismo post industriale che si basa su quanto richiamato nel capitolo relativo alle organizzazioni della perdita di controllo sul processo.
L’esplosione di fonti d’informazione e la riduzione dei costi di accesso alle stesse costitusce elemento saliente dell’aspetto a rete, “networked” delle notizie. Viene utilizzata l’evoluzione della televisione, storia negli Stati Uniti ed ancora in corso nel nostro Paese, per esemplificare e suggerire la specializzazione, il presidio di nicchie, di argomenti che interessano e coinvolgono gruppi relativamente ristretti di persone che Internet rende possibile.
C’è uno spazio per notizie veloci, breaking news, uno per analisi di moderata profondità ed uno per quelle dettagliate; c’è, anche, uno spazio per il long form journalism lontano dalla esasperazione della velocità informativa.
Conclusioni:
La sfida principale non è tanto comprendere il futuro quanto avere la capacità di adattarvisi. Nel 2020 continueranno ad esistere, ad esempio, il «Los Angeles Times» o la CNN, ma questa continuità sarà accompagnata dalla riconfigurazione di ogni singolo bit del contesto mediatico in cui operano, in cui opereranno.
Più persone consumeranno, fruiranno, maggior informazione da fonti diverse ma poche di queste saranno di “interesse generale”, generaliste. Aspetto che, se posso dirlo, evidenziavo nelle conclusioni relativamente alle 8 case studies realizzate per l’European Journalism Observatory qualche mese fa.
Aumenterà ulteriormente la variabilità. Non stiamo passando da grandi organizzazioni a piccole e neppure dal giornalismo “lento” a quello “veloce”, le dinamiche sono contemporaneamente su più assi.
Gli autori in questo scenario concludono con una raccomandazione tanto sintetica quanto sfidante: survive.
Ovviamente non posso che raccomandare la lettura integrale del rapporto poichè la mia sintesi è inevitabilmente parziale. Se non aveste tempo o voglia di farlo un’altra sintesi è stata effettuata da Nieman Lab in “Post-Industrial Journalism: A new Columbia report examines the disrupted news universe”. Certo che se siete davvero arrivati a leggere sin qui, magari può anche essere interessante rilevare comunanze e differenze tra le due, e tra quelle che certamente verranno.
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